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Il primo congresso (dopo 20 anni) delle sex workers: «Il sesso è lavoro»
Si è svolto a Bologna e la parola d’ordine è: «Basta criminalizzare quello che facciamo, lo Stato non ci tutela ma ci manganella in strada»
Lo spettro del favoreggiamento che espone alla violenza perché impedisce di fare rete, lo stigma della morale collettiva che isola e uno Stato che non offre strumenti di tutela, ma che «ci manganella per strada». Hanno ricordato gli ultimi fatti di cronaca, dal pestaggio della donna trans da parte dei vigili di Milano alla transessuale brasiliana morta a Rimini, per sottolineare ancora di più la necessità di una «decriminalizzazione del lavoro sessuale, perché in Italia la prostituzione non è illegale, non esplicitamente vietata dal codice penale. Sono le condotte collaterali ad esserlo, come lo sfruttamento e il favoreggiamento, che va quindi decriminalizzato». Le rivendicazioni sono arrivate ieri da Bologna al congresso, a oltre vent’anni dall’ultimo, “Sex workers speak out: contro la criminalizzazione, per i diritti”.
Legge Merlin
È in particolare la legge Merlin, che nel 1958 abolì le case di tolleranza, a finire nel mirino delle sex worker, e appunto il reato di favoreggiamento «che ci isola e ci rende vulnerabili» racconta Elettra dell’associazione Swipe (Sex Worker Intersectional Peer Education), studentessa di psicologia e già laureata in Giurisprudenza che vive a Londra.
«Abbiamo bisogno della decriminalizzazione – continuava – ovvero che il favoreggiamento non sia un reato perché questo ci impedisce di accedere a tanti diritti basilari. Viviamo la difficoltà di darci consigli e supporto e anche la diffidenza reciproca. Con l’associazione Swipe vorremmo dare informazione su come fare sex work in sicurezza ma rischiamo il favoreggiamento. Per intenderci, è come fare l’università senza poter parlare con i tuoi compagni: non sai come immatricolarti, come fare gli esami, com’è il professore. Devi fare tutto da sola perché non ti puoi relazionare agli altri e questo porta violenza».
“Sex work is work”
La premessa è che «il lavoro sessuale è un lavoro», è stato il leitmotiv. E non si può criminalizzarlo: non con politiche punitive nei confronti della prostituzione di strada, non con le multe, a clienti o sex workers, non con le ordinanze di «alcuni sindaci in nome del decoro o dell’ordine pubblico – come sostiene Giulia Crivellini (associazione Certi Diritti) –. La volontà di questi provvedimenti è sempre combattere sfruttamento e tratta ma si punisce chi esercita in quanto “elemento indecoroso” perché di fatto non è vero che nel nostro paese questo lavoro non è considerato reato. Si tratta di provvedimenti osceni, criminalizzanti e incostituzionali, che fortunatamente spesso vengono riconosciuti tali dai tribunali».
«A causa di questi reati non possiamo lavorare nelle case, affittare insieme, formare cooperative o avere copertura sanitaria», ribadiscono le attiviste. «I papponi del 2000 – è stata la denuncia – sono i palazzinari che affittano in nero solo alle prostitute con prezzi da sfruttamento».
Migranti
E poi il tema delle donne migranti, non solo le vittime della tratta. «I decreti sui migranti, come quello di Piantedosi, o come i Daspo urbani ci fanno diventare criminali – ha detto Pia Covre, fondatrice e leader del Comitato per i diritti civili delle prostitute –. In ogni momento le donne straniere che lavorano in strada possono essere chiuse nei Cie, senza processo, con una condanna a tempo indeterminato. Non riesco a non pensare ai lager del sistema nazifascista».
Il tavolo
Tra gli altri ieri c’era anche Porpora Marcasciano, presidente e fondatrice del Mit (Movimento Identità Trans), nonché consigliera comunale di Coalizione civica a Bologna: «È una questione di diritti e di repressione, che bisogna ostacolare perché sta passando il modello nordico di criminalizzazione che assolutamente non vogliamo. Per tante la prostituzione è un modo di emanciparsi. Sulla prostituzione – ha poi detto Marcasciano – si sono cimentati tanti Governi, di destra e di sinistra, e tutti hanno capito che la questione è troppo complessa per legiferare facilmente. Certamente partire con un tavolo che coinvolga tutti i soggetti, soprattutto le persone che esercitano la professione, può fare la differenza». l
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