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Il lutto

Grosseto dice addio a Sergio Francioli, sognatore e innovatore. La figlia: «Voleva portare il nome della Vemar nel mondo»

di Maurizio Caldarelli

	Sergio Francioli, uno dei fondatori della Vemar
Sergio Francioli, uno dei fondatori della Vemar

Fondatore dell'azienda, aveva 80 anni. Nella sua carriera ebbe grandi soddisfazioni professionali, a partire dai suoi brevetti

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GROSSETO. Un sognatore, ma al tempo stesso un innovatore, una grande mente. Così la città di Grosseto, al momento di salutarlo per l’ultima volta, questo pomeriggio, al cimitero di Sterpeto, ha ricordato Sergio Francioli, uno dei fondatori della Vemar, scomparso nella giornata di martedì a 80 anni.

«Sergio Francioli – dice Giovanni Mascagni, responsabile della delegazione di Grosseto di Confindustria Toscana Sud – ha segnato un’epoca. Insieme a Riccardo Simoni (scomparso nel 2010 a soli 66 anni) e Carlo Polverini mise insieme una filiera della vetroresina, l’unica filiera nella storia industriale della Maremma; una catena di fornitura che andava dalla produzione al marketing. Ho conosciuto Francioli nei miei primi anni in Confindustria – aggiunge Mascagni – lo ricordo come un appassionato di aziende, generoso, con una grande apertura mentale, come dovrebbe avere un imprenditore. La visione e la passione dei tre fondatori portò la Vemar nel mondo, partendo dal basso».

Francioli era uno che credeva nei giovani, nell’ambiente: «Per le acque reflue – aggiunge Mascagni – brevettò sistemi per purificare, attraverso le fosse imof, liquami biologici delle abitazioni. Nella fase d’oro della Vemar ci fu l’espansione della società in tutto il mondo, installando cisterne, autoclavi di qualità nelle ville di personaggi famosi, oltre a realizzare caschi che finirono anche in MotoGp, come quello che usava Dovizioso».

La figlia Roberta Francioli, che per dodici anni si è occupata della produttività della ditta grossetana (diventando anche presidente dei giovani industriali di Confindustria Grosseto), prima di diventare un’insegnante, sa perfettamente quanto il padre tenesse a quell’azienda, la Vemar, che Sergio, perito elettrotecnico, realizzò insieme a Simoni e Polverini, i tre ragazzi con i quali alla fine degli anni Sessanta in un podere facevano le prove di realizzazione di serbatoi per il vino e l’acqua. «Il successo fu immediato – sottolinea Roberta – e così nel 1971 decisero di mettere su una vera e propria azienda specializzata. Il suo sogno era di portare il nome della Vemar in giro per il modo. E il suo pallino era quello dell’ambiente, in particolare delle acque reflue. Era un precursore dei tempi in questo senso. Suo il brevetto per la fossa imof, ma anche “Niagara” per il recupero delle acque piovane, che, una volta raccolte, potevano essere utilizzate per il bagno, per lavatrice. Mio padre era un innovatore per studiare nuovi meccanismi per le acque reflue».

Un volta completata la prima fase con la nascita della Vemar, i tre soci svilupparono la commercializzazione di serbatoi antincendio, a Napoli e Roma. «Il nostro era materiale di pregio – aggiunge Roberta Francioli – e i nostri contenitori, che avevano il vantaggio di poter essere riparati, vennero acquistati in molti quartieri delle città, finendo anche in abitazioni di persone importanti. I serbatoi dell’acqua erano garantiti per venti anni, ma realizzavamo anche autoclavi personalizzate per entrare in qualsiasi ambiente, arrivando fino a 120mila litri, che montavamo anche sul posto».

La Vemar cominciò poi a esportare contenitori per il vino in giro per il mondo, in particolare in Francia. L’azienda nella sua storia realizzò anche caschi per le moto, con una società specializzata, che rimase in mano a Riccardo Simoni, mentre Polverini e Francioli rimasero a fase serbatoi, allargando la gamma anche alle castagne. «Mio padre è stato un venditore per tutta la vita – aggiunge la figlia – ancor prima della Vemar. Mi ricordo di un’altra idea vincente, quella di portare i serbatoi in vari magazzini verso Roma, nei quali veniva fatto il vino: andavano letteralmente in fumo in poche ore». Sergio Francioli smise di lavorare una decina di anni fa, dopo essere stato dietro alla sua creatura per 52 anni: «La crisi iniziò nel 2008, quando si cominciò a utilizzare la plastica, che costava meno rispetto alla vetroresina, ma anche l’acciaio, che è un buon materiale per contenere il vino».

«Il problema principale del calo e della successiva chiusura della Vemar – conclude Mascagni – è la globalizzazione. La manifattura si è spostata in Cina, insieme all’evoluzione tecnologica, ma Francioli e i suoi compagni di viaggio hanno dato tanto lustro alla Maremma, con i loro sogni e prodotti di grandissima qualità».

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