Il Tirreno

Grosseto

storie di monumenti realizzati e no

Da quell’arco abortito al badilante controverso

Da quell’arco abortito al badilante controverso

GROSSETO. È sempre stato un rapporto controverso quello tra Grosseto e i monumenti o i simboli scelti di volta in volta per rappresentarne identità e anniversari o celebrare un luogo. L'arco di...

07 ottobre 2016
4 MINUTI DI LETTURA





GROSSETO. È sempre stato un rapporto controverso quello tra Grosseto e i monumenti o i simboli scelti di volta in volta per rappresentarne identità e anniversari o celebrare un luogo.

L'arco di trionfo. Nella primavera del 2003 l'allora sindaco Alessandro Antichi propone un arco gotico con su scritto "L'aria della città rende liberi". È un progetto da 415mila euro di spesa. «Sarà la nuova porta della città - spiega l'artista, lo scultore Ildebrando Casciotta da Latina - l’arco come rappresentazione di ingresso e uscita da una comunità aperta sul divenire, simbolo dell'espansione di una città moderna che rivendica le proprie origini. Ma soprattutto in una società avviata all’omologazione e alla globalizzazione sopranazionali, si vuole riaffermare il valore del municipio come palestra delle libertà individuali e la forza delle realtà locali». Insomma, nelle intenzioni dei promotori l’opera dovrebbe celebrare i rinverdire i fasti della città, ma l’idea non passa. Grosseto si mostra fredda, anzi contraria. Si critica l’idea, ma soprattutto quel motto, che riecheggia sinistramente il più noto “Arbeit macht frei”, che introduceva al campo di lavoro-sterminio di Auschwitz. Il portale gotico, secondo le intenzioni della giunta di centrodestra, dovrebbe essere costruito all’ingresso di Grosseto, lungo la via Senese, con un’estensione di 12 metri e un'altezza di 16. I giudizi sono impietosi. Per il presidente della Provincia di Grosseto, Lio Scheggi, «si tratta di un monumento autocelebrativo ispirato a un minestrone ideologico che mette insieme localismo campanilista, banalizzazione dei contenuti no global e orgoglio della razza maremmana, o maremmanitudine che dir si voglia. Non c'era necessità di questa boutade». Il progetto abortisce.

Mamma Grosseto. Nello stesso anno - il 2003 - viene inaugurato il monumento in ricordo delle vittime dei bombardamenti su Grosseto, eretto dal Comune e inaugurato il 26 aprile. L’opera è alta tre metri, posata su un basamento di travertino. Viene realizzata in bronzo dallo scultore Antonio Lazari e rappresenta una madre e un figlio avvinghiati in un abbraccio, simbolo di una città che protegge e stringe i suoi abitanti. Ma anche questa allegoria materna non piace; l’atto simbolico di creazione e protezione, opposto alla guerra che distrugge, non viene compreso. In molti definiscono il monumento brutto e banale, ma soprattutto impalla un paio di negozi che si affacciano su piazza del Sale. La statua verrà presto rimossa e spostata nei giardini di via Ximenes. Oggi è un orinatoio.

L'aereo in biblioteca. Estate 2005. Nell'atrio della biblioteca Chelliana, in fase di ristrutturazione, l’architetto Roberto Aureli prevede la collocazione di un Aviatik, un biplano che dovrebbe simboleggiare la vocazione al volo della Maremma. La notizia apre immediatamente un dibattito, con posizioni diverse, anzi opposte. C’è che si complimenta e chi critica. «Il sogno del volo - spiega Aureli, che è anche uno stimato insegnante del liceo scientifico Marconi - ha accompagnato la storia dell’uomo, prima come desiderio mitico poi come sfida tecnologica, e da sempre ha rappresentato la necessità dell'uomo di sollevarsi dalla propria condizione terrena, come massima sfida, una tensione che ancora oggi continua con i viaggi spaziali. Per la Maremma, più di altri, questo significa ed ha significato il volo: la rappresentazione prima simbolica e poi tangibile della sollevazione dalle proprie difficili condizioni». Nell’idea di Aureli il piccolo biplano o monoplano deve essere installato a circa 10 metri da terra, sostenuto da tiranti in acciaio, proposto quindi come elemento di arredo per ricordare la storia aviatoria della città di Grosseto, che è stata a lungo, nel secolo scorso, tra le prime città d'Italia in questa pratica. Non se ne fa di nulla.

Il badilante. Nel 2008, alla rotonda nel canale del Diversivo, viene eretto il monumento al badilante, simbolo della Maremma Amara, quando la malaria imperversava e i “buzzi verdi” cercavano di risanarla costruendo i fossi per bonificarla. È di nuovo Antonio Lazari a firmare l’opera. Il dibattito si dipana su tre fronti: quanto piace e quanto dispiace l’enorme statua che si erge sulla rotatoria, sull’opportunità di erigerla e, infine, sul fatto se davvero il badilante è da considerarsi un simbolo della Maremma, così come invece lo è da sempre il buttero, tant’è che una bella statua di Tolomeo Faccendi, dedicata a questa figura, accoglie i viaggiatori all’uscita della stazione ferroviaria. Si apre anche un appassionato dibattito nel blog de La Sentinella del Braccagni.

Altri. Ma in città ci sono anche altri monumenti nati ambiziosi e quasi subito dimenticati. Dagli enormi corridori in rame nel parcheggio vicino allo stadio (oggi accerchiati dal traffico), all’omaggio ai donatori di sangue in viale Sonnino, punto di ritrovo per sbandati; e poi quel pezzo di Muro di Berlino piantato a terra, al Velodromo, prima di essere abbandonato, dimenticato, sfregiato. Fu inaugurato nel maggio del 1990 dal Dalai Lama. Per iniziare potremmo riposizionarlo e spiegare ai nostri figli che cosa significava, significa e cosa significherà per sempre.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Primo piano
Meteo

Neve a maggio sul Monte Amiata: tutte le nevicate fuori stagione negli ultimi 54 anni