Una farmacia al posto del Bar Necchi a Firenze. E i cartelli ricordano le supercazzole: «Anche quelle sono terapia»
Taglio del nastro di una nuova “comunale” in San Niccolò. I dottori si fanno custodi della memoria di “Amici Miei” della combriccola inventata da Monicelli
FIRENZE. Il bar Necchi non c’è più, eppure resiste. Resiste come resistono i luoghi che hanno smesso di essere semplicemente muri e tavolini per diventare memoria collettiva. In via dei Renai, a San Niccolò, dove Mario Monicelli ambientò alcune delle scene più immortali di Amici miei, oggi si entra per chiedere un farmaco, misurare la pressione, prenotare un elettrocardiogramma. E magari anche una supercazzola, perché pure quella a volte è terapeutica, curativa di certe nevrosi urbane. È diventato una farmacia comunale. Ma è anche un piccolo cortocircuito fiorentino tra nostalgia e welfare.
L’inaugurazione della nuova Farmacia Comunale di San Niccolò ha il tono solenne delle cose civili e quello inevitabilmente leggero delle cose simboliche. Fuori, la folla occupa il marciapiede come in una prima cinematografica; dentro, luci chiare, scaffali ordinati, camici bianchi e calici per il brindisi. Nelle immagini si riconoscono assessori, presidenti di quartiere, dirigenti Afam: le fasce tricolori stanno dove un tempo stava la beffa, lo sberleffo, la “zingarata” come filosofia di vita.
Il contrasto è evidente e voluto. Dove Tognazzi, Noiret, Moschin e Celi progettavano scherzi feroci contro la vita e contro la morte, oggi si parla di prevenzione, autodiagnosi, servizi di prossimità. Il bar della supercazzola diventa presidio sanitario. E forse non è una contraddizione, ma una continuità tutta fiorentina: prendersi gioco del destino allora, prendersi cura delle persone oggi.
Le foto raccontano bene questo passaggio di testimone. Tre sorrisi tengono in mano un manifesto rosso acceso, scritto a pennarello, che riproduce una delle tirate più celebri del film: «Terapia tapioco prematurata», la supercazzola come arte concettuale, incorniciata e appesa dentro la farmacia come una reliquia laica. È un omaggio ironico ma consapevole: nessuna rimozione, nessuna cancellazione della memoria. Il cinema resta, ma cambia funzione. Da rito goliardico a citazione colta.
All’esterno, l’insegna “Farmacia Comunale di San Niccolò” campeggia sotto l’arco in pietra dove un tempo troneggiava “Bar Necchi”. La porta è aperta, la gente entra ed esce. La scena ricorda, per composizione, le inquadrature di Monicelli: stesso marciapiede, stessa prospettiva, solo che al posto del bancone c’è un desk moderno e al posto del Cynar ci sono test per l’emoglobina glicata. Il tempo passa, Firenze resta uguale a sé stessa proprio mentre cambia.
Nicola Paulesu parla di welfare territoriale, di servizi di prossimità, di salute nel centro storico. Massimo Mercati rivendica il modello Apoteca Natura, la farmacia come luogo di ascolto e prevenzione. È il linguaggio della buona amministrazione, serio, necessario. Ma a San Niccolò, inevitabilmente, tutto si carica di un sovrappiù simbolico. Perché qui anche una farmacia deve fare i conti con la leggenda.
E allora l’operazione riesce proprio perché non rinnega nulla. Non c’è nostalgia finta né marketing strillato. C’è la consapevolezza che un luogo iconico può continuare a essere utile senza smettere di essere raccontato. Il bar Necchi non è stato trasformato in un museo di sé stesso, né in un locale a tema. È diventato qualcosa di più prosaico e, forse, più necessario.
Se il Perozzi entrasse oggi, probabilmente chiederebbe dove si prenota l’holter cardiaco. E magari, uscendo, borbotterebbe qualcosa contro la serietà dei tempi moderni. Ma poi sorriderebbe. Perché anche questa, in fondo, è una zingarata riuscita: far convivere la commedia all’italiana con la sanità pubblica, la supercazzola con l’elettrocardiogramma, il cinema con la cura. Firenze, come sempre, riesce a prendersi sul serio senza smettere di prendersi in giro.
