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Ex inceneritore di San Donnino a Firenze, le diossine ci sono ma il nuovo impianto può partire

di Mario Neri
Ex inceneritore di San Donnino a Firenze, le diossine ci sono ma il nuovo impianto può partire

Arpat dà l’ok al Raee: non ci sono rischi se il suolo verrà impermeabilizzato. Via libera condizionato al polo dei rifiuti elettrici: una pavimentazione dovrà evitare l’esposizione e i pericoli per la salute. Resta il rischio di infiltrazioni nella falda, ma sarà tenuto sotto controllo: ecco come

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FIRENZE Le diossine ci sono. Non sono un’ipotesi, né un’eredità archiviata tra le pieghe della storia industriale della Piana. Sono state rintracciate e misurate nei terreni dell’ex inceneritore di San Donnino, nei primi strati del materiale di riporto, insieme a piombo, idrocarburi pesanti, rame e altri contaminanti. Eppure, per gli enti pubblici, il progetto di riconversione in polo per il riciclo dei rifiuti elettronici può andare avanti. La ragione è tutta tecnica e sta in una scelta ingegneristica: la realizzazione di una pavimentazione continua su tutta l’area del nuovo impianto green che, secondo Arpat e Regione, elimina ogni possibilità di contatto tra l’uomo e i terreni contaminati e quindi azzera il rischio sanitario nello scenario previsto.

L’analisi di Arpat

È questa la conclusione dell’Analisi di rischio sito-specifica approvata il 26 novembre 2025 da Palazzo Vecchio, al termine di un lungo procedimento ex art. 242 del Testo Unico Ambientale, con i pareri favorevoli di Arpat e Regione. Un atto che chiude formalmente il procedimento di bonifica per l’area impiantistica principale dell’ex inceneritore, oggi di proprietà di Alia, e che consente di procedere con la realizzazione del progetto Raee finanziato dal Pnrr.

Le indagini ambientali svolte tra il 2023 e il 2024, proprio in vista del nuovo impianto, hanno però modificato in modo significativo il quadro rispetto al passato. Ai contaminanti storici già noti - arsenico e rame - si sono aggiunte diossine e furani, mai rilevati prima in queste forme. I superamenti dei limiti sono stati riscontrati nei primi tre metri di profondità, tutti riconducibili al materiale di riporto e non al terreno naturale. Ma sono comunque nel sottosuolo dell’area.

L’area non è “pulita”

Qui sta la principale contraddizione rispetto alla narrazione che negli ultimi anni ha accompagnato la demolizione delle ciminiere: l’area non è "pulita". È dichiarata compatibile con l’uso industriale solo a precise condizioni, e sotto vincolo ambientale. La bonifica integrale, con la rimozione di tutti i terreni contaminati, non è prevista. La strategia autorizzata è un’altra: eliminazione puntuale degli "hot spot", copertura completa con asfalto o pavimentazione impermeabile e monitoraggio costante delle acque sotterranee.

Secondo Arpat, è proprio questa pavimentazione a garantire l’assenza di rischio per la salute: non essendoci più esposizione diretta al suolo - né per ingestione accidentale, né per contatto cutaneo, né per inalazione di polveri - i contaminanti restano "confinati" sotto la copertura e non entrano in contatto con i lavoratori né, tantomeno, con la popolazione esterna. Tutti i percorsi di esposizione umana diretta risultano quindi "interrotti" nello scenario di progetto.

La “lisciviazione” nella falda

L’unico percorso ancora potenzialmente attivo è quello indiretto verso la falda, attraverso la lisciviazione. Ed è proprio sulla falda che resta acceso il faro dei controlli. I piezometri continuano a registrare, in vari punti, superamenti per manganese, solfati, ferro e in alcuni casi selenio. Valori che Arpat riconduce in gran parte ai fondi naturali del sottosuolo della piana fiorentina, ma che impongono un monitoraggio trimestrale almeno per i prossimi due anni.

«L’analisi di Rischio aggiornata per il sito di San Donnino è stata approvata dagli enti competenti, cioè Comune di Firenze, Arpat e Regione Toscana - fa sapere Alia - Le valutazioni effettuate escludono percorsi di esposizione e confermano la piena compatibilità degli interventi previsti nello scenario d’uso industriale dell’area. Plures Alia attuerà integralmente le prescrizioni e il monitoraggio stabilito dagli enti. Il progetto dei nuovi impianti Raee prosegue secondo l’iter autorizzativo».

L’equilibrio delicato

Il via libera al polo Raee arriva dunque dentro un equilibrio delicato: l’inquinamento è riconosciuto, ma viene gestito attraverso il confinamento e non attraverso la rimozione completa. Il nuovo impianto era stato presentato come il simbolo della "svolta verde" della piana, dal fumo al riciclo. Oggi le carte dicono che quella svolta poggia su un compromesso: l’inquinamento resta sotto la superficie, messo in sicurezza dall’asfalto, ma non eliminato.Dal punto di vista formale, per Arpat e Comune «il rischio per l’uomo è accettabile» perché, nelle condizioni autorizzate, il suolo non è accessibile e non può più rappresentare una fonte di esposizione. Ma questa valutazione vale solo finché l’area resta un sito industriale completamente impermeabilizzato. Se in futuro dovesse cambiare la destinazione d’uso, l’intera Analisi di rischio dovrà essere rifatta.

Non esistono, nei documenti, studi epidemiologici sulla popolazione né valutazioni sanitarie sugli effetti storici dell’esposizione. L’assenza di rischio, oggi, è una condizione costruita su un uso futuro rigidamente controllato. In altre parole, San Donnino è stato messo in sicurezza per continuare a essere un polo impiantistico. Non è stato bonificato nel senso comune del termine. Ed è in questa distanza tra racconti pubblici e atti amministrativi che si colloca il nodo dell’analisi di Arpat e la vera novità su San Donnino.

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