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Firenze, gli architetti contro il Comune: «Violato il codice degli appalti» – La polemica sul restyling di via Palazzuolo

di Mario Neri

	Un rendering mostra come potrebbe diventare la strada con il progetto Recreos
Un rendering mostra come potrebbe diventare la strada con il progetto Recreos

Ma l’assessora Biti respinge al mittente le accuse: «La delibera che certifica la regolarità è pubblicata online»

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FIRENZE. A Firenze basta una strada – via Palazzuolo, ferita lunga tra Santa Maria Novella e Borgo Ognissanti e ombra di un passato artigiano che resiste a fatica – per far esplodere un conflitto che parla di molto più di un marciapiede allargato o di qualche vaso di verde in più. È qui, in questo corridoio di fragilità sociali e commerci sfiancati, che l’Ordine degli Architetti torna a bussare alla porta del Comune. E, questa volta, lo fa sollevando un’accusa che pesa come una cartella esattoriale: il metodo adottato per la selezione del progetto di restyling Recreos «violerebbe lo spirito e la lettere il Codice dei contratti pubblici».

Le accuse degli architetti

La presidente dell’Ordine, Silvia Ricceri, pone la questione in termini netti: negli ultimi anni – dalla scuola Ghiberti al mercato di Sant’Ambrogio, fino al progetto Recreos per via Palazzuolo – si sarebbe ripetuto lo stesso schema. Un soggetto privato paga un progettista scelto non si sa come, gli fa disegnare l’opera, poi regala il progetto al Comune, che così evita di bandire una gara. «Un sistema che appare in linea con un generoso spirito collaborativo», dice Ricceri, ma che eluderebbe «trasparenza, concorrenza e parità di trattamento». Tradotto: così non si fa. Non nella casa della pubblica amministrazione, dicono gli architetti.

Il caso Palazzuolo

Il caso Palazzuolo è l’ultimo, ma anche il più sensibile. La Fondazione CR Firenze, che negli ultimi anni è diventata una specie di socio industriale della città, finanzia il restyling e incarica lo studio Luca Dini. Recreos promette un cambio di pelle: marciapiedi più larghi, meno auto, più alberi, e soprattutto 43 botteghe ristrutturate e concesse gratuitamente a giovani artigiani per provare a riaccendere la scintilla creativa di un quartiere assediato da spaccio, malamovida e mircrocriminalità. Un’idea bella, quasi romantica, che però si è impantanata quando la Fondazione ha minacciato di ritirarsi se la strada non fosse stata messa in sicurezza. Da lì: riunioni in prefettura, presidio fisso della polizia, e il Comune che, per convincere i privati a restare, ha ceduto un immobile di sua proprietà.

La delibera del Comune

È su questa dinamica – chi comanda davvero? chi indirizza cosa? – che adesso l’Ordine chiede chiarezza. Anche perché l’assessora all’urbanistica Caterina Biti avrebbe parlato di una delibera di giunta che giustifica la procedura, senza però mostrarla. Da qui la domanda che circola tra architetti e opposizioni: è il Comune a governare la trasformazione urbana, o sono i privati, con Palazzo Vecchio a rimorchio? Ora però, nella vicenda già complessa, si inserisce la voce dell’assessora all’Urbanistica, Caterina Biti, che respinge al mittente l’accusa di non aver risposto all’Ordine e di aver lasciato cadere nel vuoto la richiesta di delibera che giustifica la procedura seguita su via Palazzuolo. «Sono sinceramente stupita – dice – che si lasci intendere una nostra chiusura. Ho incontrato più volte la presidente Ricceri e ho espresso la piena disponibilità a lavorare a un’intesa».

Biti non ne fa solo una questione di cortesia istituzionale: ribadisce che la collaborazione con la Fondazione è una «modalità virtuosa», che consente di portare risorse preziose sulla città. E sulla delibera, presunto documento fantasma, taglia corto: «È pubblica e consultabile online da tutti. Non c’è alcun atto nascosto». Un modo per dire che, se c’è stata incomprensione, non è certo figlia della reticenza.

La sindaca respinge le accuse

La replica dell’assessora cambia i toni, ma non scioglie il nodo. Perché resta la domanda centrale: queste collaborazioni rispettano o no le regole del gioco pubblico? Biti difende il metodo, l’Ordine lo considera un pericoloso scivolamento verso un modello in cui i privati scelgono il progettista e il Comune ratifica. E in mezzo, come spesso accade, c’è la politica. Anche la sindaca Sara Funaro respinge ogni accusa. «È una collaborazione virtuosa», dice. Una partnership pubblico-privato che dà «una risposta al mondo dell’artigianato, bisogna guardare all’obiettivo». E aggiunge che via Palazzuolo è una priorità, un pezzo identitario della città che reclama cura. La sinistra di Palazzo Vecchio, con Dmitrij Palagi in testa, parla di «autonomia politica da difendere», di un Comune che rischia di dipendere troppo dalla Fondazione, che preferisce non intervenire. In realtà tutti, anche chi protesta, riconoscono che via Palazzuolo è un quartiere che non può più aspettare.

I residenti convivono con degrado, insicurezza, serrande chiuse. Gli artigiani che potrebbero riempire quei 43 fondi guardano da mesi a un progetto sospeso tra annunci, rendering e passi avanti che diventano indietro. Via Palazzuolo resta lì, a metà tra promessa e disputa. E forse il suo destino è già un test: se il Comune, l’Ordine e la Fondazione riusciranno a trovare una sintesi, vorrà dire che Firenze sa ancora decidere il proprio futuro senza inciampare nelle proprie contraddizioni. Altrimenti sarà una strada a raccontarci che la città si divide proprio dove vorrebbe ricucirsi.

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