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Scandicci, il pm chiede il processo per Burattini
L’imprenditore scandiccese accusato di maltrattamenti per la morte del padre
SCANDICCI. C’è un uomo che torna a casa dopo due giorni di silenzio e fughe senza meta. Il padre, 89 anni, lo aspettano già i carabinieri, ma lui non lo sa. Quando apre la porta dell’appartamento di Scandicci, gli agenti lo trovano spaesato, quasi svuotato. È l’epilogo di una storia familiare che si trascina da anni tra rancori, accuse e solitudini.
Ora la procura di Firenze chiede per Giampiero Burattini, 57 anni, imprenditore dal passato ingombrante, il rinvio a giudizio con l’accusa di maltrattamenti aggravati dalla morte del padre e di indebito uso del bancomat e della carta di credito dell’anziano.
Il pubblico ministero ha depositato la richiesta davanti al gup Anna Liguori: l’udienza preliminare è fissata per il 27 novembre. Difeso dall’avvocato Samuel Stampigli, Burattini dovrà rispondere di una vicenda che i magistrati considerano l’ultima, tragica coda di un dramma domestico già sfociato, appena un anno fa, in un’altra sentenza.
Perché nel dicembre 2024 lo stesso uomo era stato condannato a sei anni e otto mesi per l’omicidio preterintenzionale della madre, 88 anni, uccisa dopo un violento alterco in casa. In quel processo, la Corte d’assise lo aveva assolto dall’accusa di maltrattamenti nei confronti del padre. L’anziano, inizialmente, aveva raccontato ai carabinieri delle umiliazioni subite, poi aveva ritirato tutto. Poche settimane dopo, sarebbe morto.
Il 27 gennaio scorso Burattini aveva avvertito la compagna – che si trovava all’estero per lavoro – di aver trovato il padre senza vita. Fu lei, preoccupata, a chiamare i carabinieri. Quando entrarono nell’abitazione, trovarono l’uomo disteso sul letto, il volto segnato da lividi, il corpo senza più respiro. L’autopsia stabilì che la morte era compatibile con un’asfissia. Ma il figlio non c’era più: secondo l’accusa, dopo aver prelevato denaro con le carte del padre, si sarebbe messo in viaggio, senza destinazione, fino a quando i militari non lo rintracciarono due giorni dopo.
A Scandicci, in quella palazzina silenziosa, da tempo tutti sapevano che la convivenza tra i due era difficile. «Litigavano spesso, ma poi sembravano farsi compagnia», racconta un vicino. Le finestre chiuse, la televisione accesa a ogni ora, la spesa portata a fatica dal figlio: la routine di un isolamento familiare che si è trasformato in tragedia. Ora tocca ai giudici stabilire se quella morte sia stata il risultato di un gesto estremo o l’ultimo atto di una lunga spirale di violenza domestica.
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