Firenze, affluenza giù: alle 12 è al 11,48% in provincia, in calo rispetto al 2020
Nei quattro collegi, alla stessa ora di cinque anni fa, sono andati a votare il 34 per cento di elettori in meno. Un segno di disaffezione o resa dell’elettorato?
FIRENZE Alle ore 12 la provincia di Firenze ha fatto registrare un’affluenza del 11,48 %, contro il 16,60% delle regionali del 2020. Un calo di 5,12 punti percentuali. Tradotto: gli elettori entrati nella cabina elettorale entro mezzogiorno sono oltre il 30% in meno di cinque anni fa, ed è un numero che racconta una domenica elettorale iniziata piano, quasi in sordina. Un segnale d’allarme se si considera che cinque anni fa il voto si tenne il 20 settembre, quando il richiamo delle spiagge era ancora potente e che le urne continuavano a rappresentare un rischio concreto a pandemia in corso.
Certo, non è un crollo inatteso, ma una curva che dice molto sull’umore politico di una Toscana che sembra avviarsi al voto con meno slancio di cinque anni fa, soprattutto nel territorio con i collegi che contano il maggior numero di aventi diritto e costituiscono il fortino storico del centrosinistra
Il fortino tiene, ma la piazza è più vuota
A Firenze, dove il centrosinistra è abituato a partire con il vento in poppa, il dato non è tanto un allarme quanto una spia accesa sul cruscotto: la macchina regge, ma procede più lenta. L’astensione di metà giornata difficilmente ribalterà gli equilibri in città o nei collegi più solidamente “rossi”, ma può erodere il margine simbolico, quello che il Pd considera da sempre misura della propria forza civica e identitaria.
Un’affluenza bassa in un territorio che vota “di abitudine”, che scende in piazza anche quando gli altri restano a casa, parla di un elettorato che si sente stanco, forse convinto che la partita sia già segnata, forse più distratto che disilluso. Nel 2020 il traino della candidatura Giani e la contrapposizione frontale con la destra avevano acceso la mobilitazione. Stavolta il quadro è più statico, e anche dentro il Pd qualcuno legge il rallentamento come un campanello d’allarme sulla partecipazione. Il “voto di conforto” – quello che negli anni scorsi trasformava la fedeltà civica in presenza ai seggi – sembra affievolirsi. Firenze resta un fortino, ma il presidio è meno rumoroso. L’aria di inevitabilità, di partita già scritta, è una spia anche per la destra meloniana che candida Alessandro Tomasi, rischia di spegnere la spinta del centrodestra stesso, che senza entusiasmo può perdere tono, ritmo, percezione di forza.
Insomma, la flessione dell’affluenza può essere letta come un segnale di resa più che di strategia. Chi non crede nella possibilità di ribaltare il risultato preferisce non alzarsi da tavola. È un’inerzia che fotografa la stanchezza di una base che, fuori dai propri territori più favorevoli, sembra aver rinunciato alla contesa? Ce lo dirà lo scrutinio finale, ma è uno scenario che si delinea.