Omicidio di Maati, ora è indagato anche l’autista del bus. La procura: «Vide tutto ma non mosse un dito»
La procura accusa un dipendente 31enne di Autolinee di omissione di soccorso: non avvisò neppure le forze dell’ordine. Chi sono i 5 accusati di omicidio volontario aggravato da futili motivi e crudeltà
CAMPI BISENZIO. L’ultima speranza di Maati Moubakir è stata una porta automatica. Quella di un autobus notturno, linea 30N, direzione Firenze, ore 5:31 del 29 dicembre 2024. Un rifugio di lamiera e neon, aperto a tutti ma non a lui. Perché quando il ragazzo di 17 anni di Certaldo è salito a bordo, tremante, insanguinato, supplicando «Aiuto», nessuno lo ha aiutato. Nemmeno l’autista, 31 anni, che ora è indagato per omissione di soccorso.
Secondo la Procura di Firenze la sua responsabilità è l’indifferenza. Gli contesta di essersi accorto di ciò che stava accadendo – grazie alle telecamere di bordo – senza mai premere il tasto rosso dell’allarme o chiamare il 112. Silenzio totale, la porta si richiude, e spinge sul gas, la vita scorre. E fuori, in via dei Tintori a Campi Bisenzio e poi a bordo, una furia cieca. Ma niente, nessuna reazione, neppure un sussulto di solidarietà.
Maati era stato scambiato per un altro. Per uno che forse aveva provocato, litigato, infastidito una ragazza di un altro gruppo in discoteca, qualche ora prima. Era uscito con gli amici, era finita male. Un branco di sei ragazzi lo aveva puntato e inseguito. Seguono la sua fuga tra via dei Tintori e piazza Togliatti come in una caccia. Lo raggiungono sull’autobus, lo afferrano per i capelli, lo tirano giù. Uno lo accoltella al cuore, una, due volte. La seconda a freddo. Fine.
L’autobus non si è mai fermato. A bordo c’era solo l’autista. L’accusa, firmata dal pm Antonio Natale, è chiara: nonostante la consapevolezza della gravità della situazione, ha omesso ogni forma di intervento. Non ha aperto la bocca. Non ha preso in mano il telefono. Non ha tentato nulla per fermare l’aggressione. Ora rischia una condanna con decreto penale.
Intanto, il procedimento principale sull’omicidio di Maati è chiuso. La Procura ha chiesto il giudizio immediato per cinque giovani tra i 18 e i 22 anni: Diego Voza, Denis Alexander Effa Ekani, Denis Mehmeti, Ismail Arouii e Francesco Pratesi. Sono accusati di omicidio volontario aggravato da futili motivi e crudeltà. Uno è stato già escluso dall’inchiesta: la sua posizione non era compatibile con un ruolo attivo. Per gli altri cinque, le prove sono solide: immagini, chat, testimonianze. Il branco ha agito con violenza pianificata. Un regolamento di conti sbagliato, scatenato per errore. Un’esecuzione per uno scambio di persona.
A Certaldo, dove Maati viveva con la famiglia, non è ancora tornata la quiete. Ai funerali si era visto il dolore che esplode, che non riesce a trovare pace. Il padre, nei giorni seguenti, aveva detto: «Vogliamo solo sapere perché. E che paghino tutti, nessuno escluso».
Non ci sono risposte facili. Ma ci sono domande che non si possono ignorare. Perché Maati potrebbe non essere morto solo per colpa dei suoi aggressori. Anche l’indifferenza, credono gli inquirenti, può essere complice. E c’era chi poteva — e doveva — fare qualcosa. Come quell’autista, seduto al suo posto, mentre sullo schermo passavano le immagini di un ragazzo che chiedeva aiuto. E moriva.