L’incidente
Kata, da due anni una bambina sparita nel vuoto: c'è anche la pista della pedofilia
Due anni senza di lei: il muro del silenzio dell’Astor e una madre che non smette di cercare. Una lettera e 24 cuori all’ex hotel da cui è sparita: «Ogni giorno sei il mio primo pensiero»
FIRENZE. Katherine Alvarez torna sempre lì. Davanti al muro giallo ocra dell’Astor. «Sono passati due anni, però per me no, è come se fosse successo ieri. E mia figlia è il mio primo pensiero la mattina». Piange di fronte ai cuori di carta appiccicati alla parete dell’ex hotel da cui hanno strappato via la sua bambina. Per Katherine questo muro è una porta nel tempo. Due anni fa da qui è svanita sua figlia. Arriva in silenzio, poggia la mano sulla parete, poi si ferma. Non si trattiene. «Per me è ancora il 10 giugno 2023», sussurra. Il giorno in cui Kata, all’età di cinque anni, è sparita. Una bambina di origini peruviane, occhi scuri e voce sottile, inghiottita da un edificio occupato da oltre cento persone. E da quel giorno, niente. Nessun indizio, nessuna richiesta di riscatto, nessuna traccia. Fuori dal cortile in cui giocava ci sono 24 cuori di carta rossa. Uno per ogni mese senza di lei. «Non voglio vendetta», dice Katherine. «Voglio la verità. E qualcuno lì dentro sa».
L'ipotesi che torna
Ci hanno provato a cercarla ovunque: nei solai, nelle fognature, perfino in un vano murato sotto il tetto. I carabinieri, con i cani molecolari. L’ipotesi più dolorosa – sequestro di persona a scopo di estorsione – resta quella su cui la Procura di Firenze continua a lavorare. Anche se le parole si sono fatte più pesanti, più estreme. «Credo sia stata venduta», ripete Katherine. Non ha prove, solo un istinto materno che diventa convinzione. Dice di aver ricevuto pressioni prima della scomparsa. «Mi avevano offerto soldi per lasciare la stanza che occupavamo abusivamente. Ho detto no. Poi Kata è scomparsa». Gli inquirenti hanno iscritto cinque persone nel registro degli indagati. Tra loro ci sono ex occupanti dello stabile e parenti della bambina. La pista familiare è stata battuta a fondo. Gli zii, il fratello della madre, perfino il padre, Miguel Angel Romero Chicclo, interrogato più volte. Ha suggerito che Kata potesse essere stata «scambiata per un’altra bambina». Un’ipotesi fragile, ma che resta sul tavolo. Ora nella sua testa avanza un incubo: «Non possiamo neanche escludere la pedofilia. So che è dura, non ho parlato mai di questo perché mi fa male e non vorrei pensarci».
Un’identità che cambia
La procura ha diffuso un identikit digitale, un’immagine di come Kata potrebbe essere oggi. Katherine l’ha guardato a lungo. «Non la riconosco. Io la vedo ancora come quel giorno. Non riesco a immaginarla cresciuta. Ma se quell’immagine può servire a trovarla, va bene così». Accanto a lei, l’associazione Penelope ha lasciato due lettere. Una firmata dalla presidente, Emanuela Zuccagnoli. «I bambini scomparsi vivono nel buio, e noi dobbiamo portare la luce». L’altra è scritta dalla madre. Parole semplici. «Non potete dimenticarla».
L’Astor e il buio
L’ex hotel Astor è oggi un guscio vuoto. Un tempo rifugio precario per famiglie senza casa, poi teatro di qualcosa che ancora non ha un nome. È lì che le telecamere, pochissime, hanno smesso di registrare troppo presto. È lì che, qualche mese fa, gli inquirenti hanno trovato un cellulare nascosto in un cassonetto. È lì che si continua a sperare di trovare una crepa nel muro dell’omertà. «Quello che mi fa più male», dice Katherine, «è che nessuno parli. Non è possibile che cento persone non abbiano visto nulla. Kata non è sparita nel vuoto. È stata presa». Le indagini non sono chiuse. I fascicoli sono ancora sul tavolo dei pm e su quello del procuratore capo Filippo Spiezia. Nessuna pista è esclusa: si indaga anche su possibili abusi, su giri di affitti illegali e su pressioni interne alla comunità peruviana. Si attende il risultato di alcune intercettazioni ambientali raccolte dopo lo sgombero dello stabile. Ma il tempo passa. E il silenzio cresce.