Il Tirreno

Versilia

L’intervista

Luca Landi, dai biscotti fatti con la mamma alla stella Michelin con Lunasia

di Irene Arquint

	Luca Landi, lo chef stellato guida la cucina del Lunasia al Plaza e de Russie hotel di Viareggio della famiglia Madonna
Luca Landi, lo chef stellato guida la cucina del Lunasia al Plaza e de Russie hotel di Viareggio della famiglia Madonna

Originario di Coreglia Antelminelli e chef del mondo. Sapori toscani, con tecniche apprese in Giappone, da Ducasse e Pinchiorri

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Ha visto padelle volare e sfiorargli la testa, coltelli piantati in una coscia per uno screzio fra commis. «Altri tempi, altre modalità – racconta Luca Landi, partito ragazzino dalla Mediavalle del Serchio alla corte dei grandi della cucina – oggi se vuoi legare a questo mestiere le persone, le devi appassionare».

Modi pacati, che al tempo stesso non lasciano spazio all’imperfezione, Landi sapeva che avrebbe fatto il cuoco sin da bambino, aiutando la mamma di domenica a preparare la pasta e i piatti che la famiglia avrebbe consumato durante la settimana. Da Calavorno, frazione di Coreglia Antelminelli, ha visto il mondo attraverso le cucine dei grandi maestri: Enoteca Pinchiorri, El Celler de Can Roca, Louis XV, Mirazur, Manresa, Alinea, Smith, passando da Barcellona a Parigi, Menton, California, Chicago, l’Oriente. E anche se ogni pezzetto ha contribuito a forgiare il professionista di oggi, il suo più grande maestro resta Angelo Paraccucchi: «Se la passione è nata da bambino, che tipo di cuoco volevo diventare l’ho appreso con lui. Mi ha dato un’impostazione passionale e al tempo stesso tecnica, la voglia di capire il perché ragionando sulla reazione degli ingredienti e dunque la chimica. Il suo era un approccio scientifico. È stato precursore degli abbinamenti, riconcettualizzando gli ingredienti della dieta italiana. E oggi universalmente e inconsapevolmente, non c’è collega che non proceda così». Un piatto fra tutti? «L’Insalata della Salute che ancora ho in carta nella versione cruda, giocando sulle acidità e le sapidità di frutta e verdura».
Là, alla Locanda dell’Angelo di Ameglia, dove la Liguria è quasi ancora Toscana, da studente del Minuto di Marina di Massa ha iniziato a fare le stagioni impolverando la giacchetta di un commis alle prime armi. E dopo i viaggi per arricchire bagaglio e mani, dal 2016 cucina per raccontare un territorio e i suoi prodotti nella cucina stellata di uno degli hotel più prestigiosi di Viareggio, il Plaza e de Russie della famiglia Madonna. Come? Con grande tecnica e un paniere di eccellenze recuperate fra Versilia, Garfagnana, Lunigiana. «La domenica però è sacra. Se un tempo vivevo per la cucina e ogni scelta aveva lo scopo di migliorare le mie conoscenze – racconta lo chef del Lunasia, dove la famiglia Madonna lo ha trasferito 7 anni fa da un’altra realtà di scuderia, il Green Park Resort di Tirrenia per cui già aveva conquistato la stella Michelin – oggi ho raggiunto la consapevolezza che mia moglie e le mie figlie sono il lusso che voglio concedermi».
Un anno spartiacque fu il 1998, quando dopo il Carpaccio e Le Jardin a Parigi con Paracucchi, poteva scegliere fra Paul Bocuse e Alain Sanderens, il primo tre stelle di Parigi. Per un giovane chef entrambi rappresentavano il sogno di una vita, ma aveva promesso alla futura moglie che sarebbe rimasto fuori solo 2 anni e non contravvenne.

Come concilia professione e famiglia?

«Cerco di essere saggio nella gestione del tempo. L’obiettivo per il mio mezzo secolo è avere tempo da recuperare al mio tempo. So cosa ho dato con entusiasmo alla professione nei primi 50 anni di vita, ma so anche per certo che quello che resta è meno di quello che ho vissuto».

Di sliding doors Landi ne ha viste più di una, mai però contro la parola data. Soprattutto a se stesso. Rimpianti?

«Solo se non potessi avere il tempo da dedicare a chi amo. La vita è fatta di scelte che contribuiscono a indirizzarci verso ciò che siamo. Tutte giuste, incluse quelle sbagliate».

La sua idea di cucina è un po’ quella di un artigiano, munito di grande tecnica, al servizio del territorio.

«Non mangiamo più per nutrirci. Ecco perché il cuoco moderno si mette ai fornelli pensando a una storia identitaria . In giovane età la creatività è una provocazione, un banco di prova, dopodiché diventa strumento a servizio dell’ingrediente, del produttore e non ultimo del commensale».

Nel 2011 arriva la prima stella: il Lunasia era a Tirrenia, dove era arrivato nel 2000 a 27 anni. Quel ristorante glielo cucirono addosso. Che valore ha la stella Michelin?

«Identifica un professionista che ha ben operato, anche nelle numerose scelte fuori dalla cucina. O almeno apparentemente fuori, perché la mia vita è stata all’insegna di questo mestiere. Scelsi Pinchiorri perché è la cucina più di scuola che puoi trovare in Italia. In Francia volevo confrontarmi con le salse, in Giappone cercavo la sapidità utilizzando ingredienti nuovi: goji, miso, salse di soia, fermentazioni acide di vegetali e frutta, meno sale aggiunto. Da Ducasse volevo conoscere i segreti del pesce, con Paracucchi la pasta e l’acidità. Da cuoco tecnico ho sempre amato la pasticceria, così dopo avere lavorato tutto il giorno da Ducasse a Montecarlo, la notte mi trasferivo nel laboratorio di pasticceria dell’Hotel de Paris. Sono un po’ modello giapponese: riposo due ore e sono pronto per ripartire».

Ma come ogni medaglia, la stella ha il suo rovescio. Quale?

«Non potersi mai permettere di abbassare l’attenzione. Che poi è insieme pure il vantaggio perché porta a lavorare bene, offrire qualcosa di speciale all’ospite, ma tutto deve essere sempre al massimo. Mi ritengo fortunato, niente mi è stato regalato, ho lavorato tutta la vita con impegno e dedizione, ma so che ciò che ho ottenuto è molto più grande di quello che vorrei avere».

Il segreto del (suo) successo?
«Crederci e tanta costanza».

 

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