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La storia di “Cravache”: dalle note di Burlamacco all’orrore di Mauthausen

Simone Pierotti
La storia di “Cravache”: dalle note di Burlamacco all’orrore di Mauthausen

Umberto Boni scrisse alcune delle canzoni storiche del Burlamacco:  morì nel lager nazista dove venne deportato nel 1944 

27 gennaio 2019
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Le sue canzoni ci hanno fatto ballare, ci hanno spinto a mimare i movimenti di un mascherone, ci hanno fatto innamorare a un rione. Eppure pochi, a Viareggio, sarebbero in grado di associare quei brani intramontabili al suo nome – all’anagrafe Umberto Boni, meglio noto come “Cravache”. Men che meno sanno che è arrivato alla fine dei suoi giorni nel luogo più atroce mai concepito dalla mente umana: il campo di sterminio. Sembra un paradosso: trascorrere un’esistenza a distribuire sorrisi come offerte votive e andarsene dal mondo uccisi nell’anima ancor prima che fisicamente. Ma il mito di Cravache questo racconta. Una vita da romanzo, con un epilogo tragico, per una figura circondata da un alone di leggenda: basti pensare che per lungo tempo è stato impossibile rinvenirne una fotografia che fosse una. La silhouette smilza, il naso adunco, il portamento azzimato sopravvivono soprattutto in una serie di pochi ma preziosi ritratti, fra cui uno disegnato da Uberto Bonetti, il papà di Burlamacco.

Figlio di un generale dell’esercito sabaudo, Cravache nasce a Roma il 28 dicembre 1872 e diciannove anni più tardi lo troviamo nella città del Carnevale, fra le firme del settimanale “Viareggio-Rivista balneare e climatica del Tirreno”. Guadagna da subito la fama di gagà, per usare un termine in voga negli anni Trenta: anima feste e veglioni, sfoggia un invidiabile eloquio intrattenendo gli avventori dei salotti cittadini con i suoi racconti, corteggia garbatamente le belle donne. Ma non è solo un “viveur” scapigliato: si dedica alla poesia, al teatro, alla letteratura. Soprattutto, diventa un apprezzato paroliere del Carnevale, «questo avvenimento commuove i viareggini più che l’estate, perché il Carnevale è cosa loro, soltanto loro, perché gli hanno dato entusiasmo e gioia di vivere» come lo definì una volta. E nelle canzoni sembra trovare ragion d'essere il suo nome d’arte, che significa “frustino”: non disdegna l’impegno politico e qualche stilettata. Fra il 1923 e il 1932 è autore di ben quattro canzoni ufficiali che col tempo si stampano nella memoria collettiva dei viareggini: ognuno di noi, almeno una volta, ha stornellato “Nel Carnevale che impazza e che schiamazza ogni matrona diventa una ragazza”. O “Il sole splende color del miele, Viareggio attende il suo fedele”. O, ancora, “Eccolo vien, stringilo al sen, amalo ben mia cara piccola”.

Poi, con lo scoppio della guerra, la vita di Cravache prende una piega inattesa. E drammatica. Nei primi mesi del 1944 viene deportato come detenuto politico al campo di concentramento di Fossano e da lì nel lager nazista di Mauthausen, dove trova la morte il 2 novembre. Per questo motivo, nel 1948, verrà scelta come canzone ufficiale “Globuli rossi”, brano da lui scritto nel 1935 con le musiche Icilio Sadun. Un omaggio postumo che non si esaurirà lì: a Cravache è infatti dedicata una delle traverse a mare della Passeggiata e intitolato uno dei premi speciali assegnati alla fine delle sfilate. E che portiamo doverosamente avanti oggi per la Giornata della Memoria. Anche per ricordare che nei lager morirono non solo ebrei, ma anche omosessuali, rom, disabili. E dissidenti. Come Umberto Boni. Per tutti, semplicemente, Cravache. —

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