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Non solo extravergine, il futuro sta anche nelle olive toscane in salamoia: «All’estero valgono il 20% in più rispetto alle altre»

Tiziano Baioli, olivicoltore della rete Coldiretti
Tiziano Baioli, olivicoltore della rete Coldiretti

Un segmento da riscoprire per far fronte ad annate di scarsa resa

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LARCIANO. (Pistoia) Non solo olio extravergine, la Toscana all’estero vale un 20% in più grazie alle tradizionali olive in salamoia, un valore aggiunto anche per i produttori del frutto. «Per questo, da qualche anno, ho deciso di conferire parte del mio raccolto di olive leccino a un’agroindustria della nostra zona, che mi garantisce diversificazione produttiva e un buon margine di guadagno».

A parlare è Tiziano Baioli, olivicoltore della rete Coldiretti, e presidente della sezione di Larciano. «Sono convinto – spiega Baioli – che solo innovando, e nella giusta direzione, possiamo dare futuro a una coltura che incarna la toscanità, in tutte le varie sfaccettature ambientali, paesaggistiche ed economiche».

«In un anno come questo, poi – continua Baioli – con una carica di frutto eccezionale ma con una resa modesta in termini di olio, poter conferire leccino per farne olive in salamoia è essenziale per avere una gestione aziendale sana, dal punto di vista economico-finanziario».

L’azienda dove Baioli conferisce le olive leccino, le uniche “toscane” adatte alla salamoia, è un gigante dell’agroindustria, la “Neri” di Lamporecchio, specializzata in sottoli dal 1947.

«Da qualche anno – spiega Alessio Baronti, ceo della Neri industria alimentare, che gestisce l’azienda insieme al fratello Stefano, che si occupa della produzione – abbiamo deciso di allargare la nostra produzione anche alle olive in salamoia, e stiamo potenziando molto la filiera toscana. Quest’anno abbiamo ricevuto conferimenti per 5.000 quintali di leccino, un salto enorme rispetto alla media degli anni scorsi di 1.500 quintali». Naturalmente le olive conferite devono avere un calibro idoneo ad essere lavorate, almeno 14 millimetri.

«La linea toscana – spiega Baronti – riusciamo a venderla all’estero a un prezzo di circa il 20% in più rispetto alle olive di altra provenienza. La toscanità paga, per questo stiamo valutando di incrementare la capacità produttiva».

Il ciclo produttivo nello stabilimento parte con il selezionatore delle olive a maggior calibro (quelle non adatte vengono restituite all’olivicoltura per farne olio) e finisce in un piazzale dove le olive, in grossi fusti (etichettati con l’indicazione del produttore) rimangono all’aria aperta per circa un anno, per favorire la fermentazione che porta alla produzione di acido lattico, che non solo conserva le olive, ma contribuisce anche al loro sapore distintivo.
 

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