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Epilessia, le dottoresse in prima linea contro la malattia: dalla diagnosi alle cure, ecco come gestirla


	Da sinistra, le dottoresse Elisabetta Bertini e Mariella Baldini, neurologhe e referenti dell’ambulatorio di epilessia della Neurologia di Empoli
Da sinistra, le dottoresse Elisabetta Bertini e Mariella Baldini, neurologhe e referenti dell’ambulatorio di epilessia della Neurologia di Empoli

Oggi è la giornata dedicata a questa malattia di cui soffrono 38.000 toscani. Le neurologhe Mariella Baldini ed Elisabetta Bertini: con i farmaci giusti, il paziente può condurre una vita normale

12 febbraio 2024
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Deve conviverci l’uno per cento della popolazione – sono circa 38.000 persone in Toscana – e l’insorgenza di nuovi casi, annualmente, oscilla fra 40 e 70 ogni centomila persone. Sono i numeri della letteratura medica in materia sull’incidenza dell’epilessia, malattia che a lungo ha comportato, per chi ne è affetto, di essere stigmatizzato, bersaglio senza senso di pregiudizi e paure.

Oggi, la giornata internazionale dedicata a questa malattia (convenzionalmente, cade ogni anno il secondo lunedì di febbraio, il simbolo sono i monumenti illuminati di luce di colore viola), promossa in molte città della Toscana con iniziative per sensibilizzare la popolazione e informare in modo corretto sulla patologia, è l’occasione anche per ribadire che gli steccati e i pregiudizi non hanno ragione d’essere, che «l’epilessia è una malattia come tutte le altre», come tiene a sottolineare la dottoressa Elisabetta Bertini, neurologa, una delle due referenti – insieme alla dottoressa Mariella Baldini – dell’ambulatorio di epilessia dell’ospedale San Giuseppe di Empoli, dove opera da anni un centro, nell’ambito degli ospedali toscani di primo livello, a cui si rivolgono pazienti provenienti da più parti del territorio regionale, che si dedica alle malattie neurologiche ma anche alle malattie rare.

Dottoressa Bertini, quali sono le fasce della popolazione più colpite dall’epilessia?

«I casi si registrano con maggiore frequenza nell’età infantile e tra la popolazione anziana. Sono questi i pazienti che più spesso si presentano al nostro ambulatorio».

Quali motivi rendono bambini e anziani più esposti?

«Nei bambini il disturbo epilettico può manifestarsi in modo più frequente perché hanno il cervello in via di sviluppo, in formazione. In età anziana il disturbo compare per le comorbidità (la presenza di altre patologie nello stesso soggetto, ndr), ad esempio avere subito un trauma cranico può, in un anziano, diventare causa di una epilessia focale».

Quali sono le cure?

«L’epilessia è una patologia curabile nel settanta per cento dei casi. Si cura assumendo dei farmaci, come per altre patologie. C’è una piccola percentuale di pazienti farmacoresistenti: ce ne occupiamo anche all’ambulatorio di Empoli, nato venti anni fa e oggi seguito da me e dalla dottoressa Mariella Baldini. Il nostro primo intento è quello di essere più precisi possibile nella diagnosi, consapevoli che la collaborazione coi centri di riferimento di secondo livello è fondamentale, ma anche con la pediatria e la neuropsichiatria infantile, come anche con la medicina per i pazienti con disabilità intellettive, che arrivando al nostro ambulatorio per problemi di epilessia possono fare tutti gli esami necessari. C’è poi l’ambulatorio delle malattie rare per approfondire epilessie derivate da forme genetiche».

Come si arriva alla diagnosi definitiva di epilessia?

«Principalmente la diagnosi è clinica. Ma bisogna prima fare una distinzione: un conto è la crisi epilettica sporadica o provocata da una situazione specifica in cui la persona si viene a trovare. Un altro è la patologia dell’epilessia, che è il ripetersi di più episodi epilettici. La diagnosi della malattia deve essere supportata e confermata dall’elettroencefalogramma, come esame di primo livello. Se questo risulta negativo, il secondo livello diagnostico è rappresentato dalla risonanza magnetica; se anche questa dà esito negativo, si passa alla risonanza 3 tesla, che consente di individuare anche le lesioni più piccole».

Dalla sua spiegazione della patologia epilettica, dottoressa Bertini, sembra quasi possibile dire che non esista un caso uguale all’altro.

«È proprio così, ed è quello che ci appassiona. Per questo è importante escludere in principio di diagnosi, ad esempio, che la manifestazione della crisi, con perdita di coscienza, non sia una in realtà una crisi sincopale: in quel caso il paziente deve essere curato dalla cardiologia. Ci sono poi pseudocrisi, che derivano da un disturbo funzionale del paziente, che non è di natura organica, né psichiatrica, ma una via di mezzo. Ecco perché magari il paziente gira tanti specialisti a vuoto: perché il suo è un problema di funzionamento. Stiamo costruendo una rete per gestire al meglio casi di questo genere».

Perché ci si ammala di epilessia?

«Ad esempio per un trauma cranico, che può creare una lesione: sono casi, questi, di epilessia secondaria. Ma questa malattia può insorgere anche senza che nel cervello ci sia una lesione: si dicono forme idiopatiche, e possono scaturire anche da forme genetiche. Abbiamo pazienti che si sono ammalati tra 50 e 60 anni. Perché è successo? Può accadere che alcune sedi del cervello a un certo punto della vita comincino a non lavorare correttamente. Ma mi preme sottolineare un aspetto che riguarda soprattutto i giovani».

Quale?

«L’assunzione a vario titolo di droghe può portare facilmente a scatenare crisi epilettiche. La cocaina è uno stimolante assoluto, ma anche la stessa cannabis può crearne. E così anche ingerire alcol, che oggi è diventato di così largo consumo tra i giovani, può indurre una crisi epilettica. Sottolineo che droghe e alcol possono essere all’origine di crisi, non della patologia. Perché se elimino lo stimolo, in questi casi la crisi scompare: quindi invito i giovani a volersi bene. Nei pronto soccorso arrivano ragazzi in preda a crisi epilettiche dopo una notte in discoteca durante la quale hanno assunto alcol e-o droghe».

L’epilessia è una malattia che si manifesta con crisi neurologiche e perdite di coscienza improvvise. Le persone che vi assistono possono impaurirsi: questo nel tempo ha creato pregiudizi verso chi ne soffre, che può così tendere a nascondere la malattia. Oggi si può dire che qualcosa sia cambiato o che paure e pregiudizi resistono?

«Noi medici vogliamo sempre rassicurare il paziente: l’epilessia è una malattia come un’altra. Prima si tendeva a nascondere di esserne affetti, oggi invece i giovani sono più liberi, si relazionano più facilmente anche riguardo questa malattia. La cosa importante è imparare a gestirla: il paziente deve sapere che con l’aiuto del professionista si può stare bene. Oggi ci sono farmaci nuovi, con effetti collaterali diversi rispetto a quelli del passato. Non si deve avere paura di dire che si è malati. Bisogna avere coraggio e non fermarsi all’evidenza. Il paziente epilettico può lavorare: ovviamente alcune attività sono sconsigliate, tipo lavorare sui tetti, fare il muratore. È vero, questa patologia pone alcuni limiti, ma serve consapevolezza, sia nella persona malata che in chi le sta intorno: colleghi, amici devono sapere che la crisi è un episodio che inizia e finisce da solo nell’arco di pochi minuti, bisogna fare attenzione che la persona che ne è colpita non picchi la testa, non cada, mai cercare di aprirle per forza la bocca, si rischia solo di romperle i denti. Nel caso in cui la crisi non passi da sola, bisogna chiamare il 118, che porterà il paziente in ospedale e lo tratterà con i farmaci adeguati».

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