Strage di Viareggio, cosa è successo dopo i 32 morti del 2009? Cinque sentenze e un calvario giudiziario non ancora terminato
I boati, il fumo che si leva alla periferia della città, le fiamme lungo i binari. E il braccino di un bimbo che si affaccia, nel cuore della notte più nera, dalle macerie di quella che fino a qualche ora prima era la casa di un’intera famiglia. Poi una serie di udienze e pronunce che ancora non ha messo la parola "fine" alla tragedia del 29 giugno
VIAREGGIO. Il cielo rosso a mezzanotte, alba fuori orario: è il ricordo che i viareggini hanno della maledetta notte del 29 giugno 2009. Poi i boati, il fumo che si leva alla periferia della città, le fiamme lungo i binari. E il braccino di bimbo che si affaccia, nel cuore della notte più nera, dalle macerie di quella che fino a qualche ora prima era la casa di un’intera famiglia. Mentre tutto intorno brucia e gli ospedali si riempiono di feriti e cadaveri difficili da riconoscere. Niente sarà più come prima, recitano da quindici anni gli striscioni che sfilano per la città a sostegno dei familiari delle vittime della strage causata dal deragliamento di un treno carico di Gpl (14 cisterne) partito da Trecate (Novara) e diretto a Gricignano (Aversa). Prima di quell’asse che cede, sotto un carro, all’ingresso in stazione. Prima della cisterna che, finendo rovesciata e trascinata sui binari, viene squarciata da un elemento della stessa infrastruttura. E prima che il gpl, uscito dallo squarcio, si trasformi in fuoco e morte a ridosso delle case. Trentadue le vite spezzate, tra le quali bambini e giovani che si credevano sicuri dietro le porte delle abitazioni.
L’inchiesta della Procura di Lucca (i pm Salvatore Giannino e Giuseppe Amodeo, sostenuti dall’allora Procuratore capo, Aldo Cicala), il lavoro del consulente ingegnere Paolo Toni, quello della squadra Polfer con elementi tra i più esperti, e dei tecnici Asl coinvolti, mette subito in chiaro alcuni punti fermi che tali rimarranno lungo tutto l’infinito iter giudiziario da ben 5 sentenze: i carri per il trasporto di merci pericolose venivano presi in affitto perché le imprese di Fs non ne avevano di propri, e nessuno sapeva niente di ciò che veniva affittato. È il 30 giugno 2009 e corrono mail affannate tra Fs Logistica e Gatx, azienda tedesca che forniva i carri. Chiedono di ricevere «specifiche tecniche dei vagoni, le manutenzioni che hanno avuto, l’ultima ispezione effettuata, dove ha avuto luogo, i controlli e le ispezioni sui carri e quale sarà la prossima ispezione». Il primo luglio c’è un altro scambio di email: «Abbiamo bisogno di una conferma scritta dalla vostra società», scrive un dipendente di Fs Logistica, «circa l’affidabilità dei carri che Gatx ha noleggiato a Fs Logistica». È tutta in questo scambio di posta elettronica, alla fine, la storia del disastro ferroviario di Viareggio, responsabilità comprese, come fissate dalla prima sentenza della Corte di Cassazione. Là dove si legge che «il ruolo dell’impresa ferroviaria è tutt’altro che passivo», perché «gli sono attribuiti diritti di controllo dello stato del carro».
Senza contare – ed è ancora la prima sentenza di Cassazione, quella che ha condannato Mauro Moretti anche come amministratore delegato di Fs – che «nel 2005 (quando il carro deragliato entra in circolazione in Italia, ndr) era certamente noto agli operatori del settore il rischio di rottura degli assili per l’esistenza di corrosioni o danneggiamenti non eliminati nell’attività di manutenzione».
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