Il Tirreno

Toscana

Il premio

Quel Nobel per la medicina che parla anche un po’ toscano

di Emanuele Perugini
Il premio Nobel Svante Paabo (al centro) con il professore di Genetica dell’Università di Firenze Renato Fani (a sinistra) e David Caramelli, capo dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze
Il premio Nobel Svante Paabo (al centro) con il professore di Genetica dell’Università di Firenze Renato Fani (a sinistra) e David Caramelli, capo dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze

C’è un ricercatore fiorentino nel gruppo di lavoro di Paabo, fresco di premio dall'Accademia svedese

03 ottobre 2022
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Firenze Il neo Premio Nobel per la medicina parla anche un po’ fiorentino. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Firenze guidati da David Caramelli, capo del dipartimento di biologia e del laboratorio di antropologia e paleogenomica molecolare, da diversi anni ha scelto di seguire la nuova branca della paleontologia che Svante Paabo - a cui ieri è stato assegnato il riconoscimento dell’Accademia svedese - stava aprendo con i suoi lavori sulla genetica delle popolazioni umane.

Quella tra Caramelli e il neo Premio Nobel è una collaborazione che va avanti dal 2004. Da allora i due ricercatori hanno firmato insieme alcuni lavori scientifici che sono stati pubblicati su riviste di primissimo livello come Nature e Current Biology. Paabo è anche venuto in visita all’Università di Firenze nel 2006 in occasione del Congresso della Società italiana biologia evoluzionistica. «Una notizia fantastica – ha raccontato Caramelli – . Lui è stato il pioniere degli studi che facciamo anche noi e il fatto che questo aspetto sia stato riconosciuto mi fa un immenso piacere. Insieme a Svante Paabo abbiamo pubblicato diversi articoli tutti legati allo studio dell'evoluzione umana. È un riconoscimento a tutta la nostra disciplina».

Le ricerche che sono state avviate grazie all’intuizione di Svante Paabo hanno permesso di svelare la storia dell’evoluzione dell’intera specie umana. Una storia che, grazie a questi lavori, si è rivelata essere molto più complessa di quanto si sia creduto prima. Grazie a questi lavori, per esempio sappiamo che la nostra specie Homo Sapiens, porta con sé tracce di altre specie di Homo, i Neandertal e i Denisova, la cui eredità genetica è ancora presente, in piccola parte, in ciascuno di noi. Si tratta di scoperte importanti che hanno ricadute anche sullo studio della medicina e dei processi fisiologici. Ad esempio alcuni di questi geni influenzano il modo in cui il nostro sistema immunitario reagisce alle infezioni, come è stato possibile dimostrare anche nel corso della pandemia da Covid-19. Per non parlare poi dell’impatto delle tecniche messe a punto da Svante Paabo nello sviluppo della genetica forense, la disciplina che ha un ruolo molto importante per l’identificazione, anche a distanza di molti anni, delle vittime di diversi reati. A Firenze, il professor Caramelli ha applicato le tecniche messe a punto insieme al neo premio Nobel per lo studio delle popolazioni antiche, non solo a livello europeo, ma anche italiano, con una attenzione particolare agli Etruschi. Caramelli e il suo gruppo di ricerca hanno infatti ricostruito il profilo genetico di questa antica popolazione e hanno confrontato i loro risultati anche con quelli della popolazione che oggi vive in Toscana, nel tentativo di portare nuovi indizi che possono aiutare a chiarire le origini di questa popolazione. Nel 2004 Caramelli ha anche svelato che il cranio sepolto nella tomba di Francesco Petrarca non apparteneva al Poeta. L’ultimo lavoro effettuato dal gruppo dei ricercatori fiorentini è stato pubblicato proprio ieri sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) e ha riguardato i resti dei guerrieri greci che combatterono con gli agrigentini contro i cartaginesi nella battaglia di Imera (480 a.C). Ebbene, stando ai risultati del dna, sembra proprio che quei guerrieri tutto erano fuorché greci. l




 

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