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La Brexit, la Scozia e l'indipendenza

Filippo Fontanelli (docente alla Luiss *)
La Brexit, la Scozia e l'indipendenza

27 aprile 2021
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L’11 aprile Nicola Sturgeon, primo ministro scozzese, ha dichiarato che, se lo Scottish National Party (Snp) vincerà le elezioni in Scozia, il primo ministro britannico Boris Johnson non si opporrà a un referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito.

Si tratta di affermazioni strategiche, per mettere pressione sul governo britannico che, invece, ha dichiarato di non voler autorizzare un secondo tentativo per l’indipendenza scozzese dopo quello (fallito) del 2014.

Tra 2014 e 2021, però, qualcosa è cambiato. Nel 2016, il Regno Unito ha deciso di uscire dall’Unione Europea. L’uscita (Brexit), dopo una fase transitoria, è entrata in vigore con piena efficacia nel gennaio 2021. In Scozia, nel referendum del 2016 la maggioranza aveva favorito la permanenza nell’Unione; la Scozia ha però un decimo degli abitanti dell’Inghilterra e, quindi, l’esito del voto britannico ha prevalso sul voto scozzese.

Per molti osservatori, e per i leader dell’Snp, questo autorizzerebbe un nuovo referendum sull’indipendenza, pochi anni dopo il precedente. Per Londra, la secessione scozzese potrebbe minacciare la sopravvivenza del Regno Unito, già funestata dalla crisi nell’Irlanda del Nord, teatro in questi giorni di nuovi scontri tra lealisti e repubblicani.

L’indipendenza scozzese, al di là della sua percorribilità, è spesso discussa (e promossa) come un possibile antidoto alla Brexit: la Scozia indipendente potrebbe riunirsi all’Unione Europea, sottraendosi al giogo britannico. In verità, occorre valutare la convenienza di questa ipotesi. Non è detto che, per gli scozzesi, separarsi dal Regno Unito per inseguire il rientro nell’Unione Europea sia un sacrificio conveniente.

Per certi versi, l’indipendenza potrebbe danneggiare la Scozia, tanto quanto la Brexit ha danneggiato il Regno Unito. Il desiderio di rivalsa verso Londra, che ha imposto la Brexit, è comprensibile. Tuttavia, se la Scozia lasciasse il Regno Unito per formare una partnership con l’Unione Europea ripeterebbe l’errore commesso dal Regno Unito nel separarsi dall’Unione Europea per concludere accordi commerciali con paesi terzi come gli Stati Uniti o l’Australia.

Come ben sanno i critici della Brexit, abbandonare il mercato unico dell’Unione Europea comporta un grave danno economico al Regno Unito. Anche con il Trattato di commercio e cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea dello scorso gennaio, il commercio tra i due blocchi è diminuito nettamente: non si può replicare in un accordo commerciale la liberalizzazione del mercato unico. Con la Brexit, il Regno Unito può stipulare altri trattati di commercio con Paesi terzi, ma questi ipotetici trattati non possono garantire vantaggi sufficienti a compensare il danno della Brexit. Il commercio tra Regno Unito e Unione Europea, per valore, sorpassa quello tra Regno Unito e tutti gli altri paesi del mondo messi insieme.

Parimenti, il maggiore mercato per l’esportazione di servizi e prodotti scozzesi è il resto del Regno Unito, e i prodotti e servizi britannici sono quelli più importati in Scozia. Il commercio tra Scozia e Unione Europea, per valore, conta meno della metà. L’ingresso della Scozia nell’Unione Europea comporterebbe un allineamento alle politiche commerciali e alle regole di Bruxelles che, come dimostrano le difficoltà di questi mesi, comprometterebbe il commercio tra Scozia e il resto del Regno Unito (anche presumendo un nuovo accordo commerciale tra Edimburgo e Londra).

Le ragioni dell’indipendenza, tra cui quelle politiche e simboliche, sono molte, e l’Unione Europea non è solo commercio. Il rientro nel mercato unico dell’Unione Europea, però, non è un motivo particolarmente convincente. Il mercato unico più importante per la Scozia è quello britannico, dati alla mano. Compromettere il commercio con il resto del Regno Unito è una scelta rischiosa, perché il ripristino dei rapporti con l’Unione Europea non può compensare il danno economico che ne deriverebbe.

In questo caso, per così dire, un divorzio rovinoso potrebbe essere peggio di un matrimonio infelice. --

© RIPRODUZIONE RISERVATA

*Filippo Fontanelli è senior lecturer in diritto internazionale dell’economia all’Università di Edimburgo, e docente alla Luiss. Ha pubblicato un capitolo sul commercio internazionale nella raccolta Scotland’s new choice: Independence after Brexit (2021)

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