Il Tirreno

Toscana

Toscana salute

I medici che curano il sangue dei bimbi

Marco Sabia
Il team di Oncoematologia pediatrica di Pisa e la dottoressa Gabriella Casazza, responsabile del reparto
Il team di Oncoematologia pediatrica di Pisa e la dottoressa Gabriella Casazza, responsabile del reparto

A Pisa un centro specializzato in leucemie e tumori del sistema linfatico con le terapie più innovative: «Sessanta anni fa queste malattie erano inguaribili; oggi grazie alla ricerca ora 8 su 10 si salvano»

27 febbraio 2020
4 MINUTI DI LETTURA





PISA. La loro è una delle missioni più delicate: salvare i bambini dallo spettro dei tumori del sangue, come le leucemie. Patologie che una volta apparivano incurabili e che ora possono essere sconfitte nella maggior parte dei casi. A Pisa l’Oncoematologia pediatrica, guidata dalla dottoressa Gabriella Casazza, si occupa proprio di questo: applicare le cure più innovative per guarire i bimbi. All’interno dell’unità esiste anche il Centro Trapianti Pediatrico, nato nel 1991 sotto la direzione del dottor Claudio Favre. Da allora sono stati eseguiti oltre 500 trapianti pediatrici di cui circa 300 allogenici, cioè da donatore compatibile e parzialmente compatibile.

Dottoressa Casazza, quali sono le principali patologie tumorali che colpiscono i bambini?

«In età pediatrica (bambini tra 0 e 14 anni), la forma di tumore in assoluto più frequente è la leucemia linfoblastica acuta, che da sola rappresenta circa un terzo di tutti i casi. In Italia il numero stimato di nuovi casi in un anno è di circa 400. Il picco d’incidenza è tra i 2 e 5 anni. Secondi per frequenza sono i tumori del sistema nervoso centrale (25%), seguiti dai linfomi (15%). Differente è la distribuzione dei tumori nei ragazzi (15-19 anni) dove a prevalere sono i linfomi seguiti dai carcinomi tiroidei e dalle leucemie».

Notate un aumento nelle diagnosi in età pediatrica? «Negli ultimi anni, l'andamento dell'incidenza di tutti i tumori maligni nei bambini (0-14 anni) è rimasto stazionario. Negli adolescenti, al contrario, si è rilevato un incremento d’incidenza del linfoma di Hodgkin soprattutto nel sesso femminile (+2% l’anno) e dei tumori della tiroide in entrambi i sessi (+ 8% l’anno). Entrambi questi tumori hanno comunque un’ottima prognosi».

Qual è il tasso di sopravvivenza per queste malattie?

«La cura dei tumori nei bambini rappresenta uno dei modelli di maggiori successo della medicina moderna. Grazie alla ricerca in 60 anni si è passati dalla impossibilità di curare la malattia alla probabilità di ottenere la guarigione in oltre l’80% dei casi. Percentuale che raggiunge anche il 90% in alcune forme di leucemia linfoblastica acuta».

Come ci si riesce?

«Numerosi sono i fattori a cui si devono questi risultati: migliore comprensione della malattia oncologica; impiego di schemi di terapia “standardizzati” messi a punto grazie alla cooperazione internazionale fra esperti oncoematologi pediatri (protocolli clinici); approccio multidisciplinare e “personalizzazione” del trattamento; miglioramento della terapia di supporto (prevenzione e gestione delle complicanze); sviluppo di nuove strategie terapeutiche (terapie innovative). Purtroppo ci sono alcune forme tumorali particolarmente aggressive e resistenti che hanno una sopravvivenza globale molto bassa indipendentemente dall’intensità e dalla durata dei trattamenti terapeutici effettuati. Proprio su queste forme occorre intensificare l'impegno e la ricerca scientifica».

Come funziona il trapianto di midollo?

«Il trapianto consiste nella infusione in vena di cellule staminali sane, preceduta da una terapia di preparazione con chemioterapia ad alte dosi e, a volte, radioterapia. Nel caso del trapianto autologo, solitamente impiegato nei tumori che richiedono dosi elevatissime di chemioterapia, le staminali vengono prelevate dal paziente stesso in una fase precedente del trattamento e conservate in laboratorio (criopreservate: con il freddo). Più complessa e delicata è la procedura di trapianto allogenico in cui le cellule staminali emopoietiche infuse sono di un donatore sano totalmente o parzialmente compatibile che può far parte del nucleo familiare (gemello, fratello, genitore) o essere estraneo alla famiglia (segnato nel registro donatori)».

Ci sono tecniche innovative che state impiegando?

«Penso alla possibilità di effettuare presso il centro tutti i tipi di trapianto allogenico, dando così una risposta concreta a quel 30-40% di pazienti con indicazione trapiantologica ma senza un donatore idoneo nei registri internazionali, così come a coloro che hanno l’urgenza di essere avviati al trapianto in tempi incompatibili con quelli necessari ad identificare un donatore al di fuori dell'ambito familiare (di solito 3-4 mesi circa). Si ricorre in questi casi al trapianto aploidentico in cui il donatore è un membro della famiglia (generalmente un genitore) compatibile solo per metà con il paziente. La parziale incompatibilità tra donatore e ricevente determinerebbe però inevitabilmente gravissime complicanze infettive e immunologiche senza il ricorso a sofisticate tecniche di prevenzione delle stesse (procedure di manipolazione delle cellule da trapiantare da effettuarsi in laboratorio o direttamente sul paziente dopo l’infusione)».

Quanto è importante la cultura della donazione?

«Il trapianto allogenico (da donatore sano) di cellule staminali ematopoietiche rappresenta una delle strategie terapeutiche più utili nella cura di alcune malattie del sangue sia tumorali che non. La compatibilità genetica tuttavia non è frequente; si verifica 1 volta su 4 (25%) tra fratelli e sorelle (mai tra genitori e figli o tra zii e cugini) e addirittura fino a 1 su 100.000 (0,001%) tra individui non consanguinei. In tutto il mondo esistono registri nazionali di potenziali donatori: maggiore è il numero di iscritti più alta è la possibilità di reperire il donatore ideale. Perciò servono molti donatori». —
 

Primo piano
Le celebrazioni

25 Aprile, piazza della Signoria gremita: Stefano Massini legge il monologo di Scurati – Video