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Telefonate moleste
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Chiamate moleste, spunta il regolamento per frenare i call center

Ilaria Bonuccelli
Il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli
Il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli

Il ministero dello Sviluppo economico invia al governo l’atto, ma non sa quando sarà emanato

14 ottobre 2019
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C’è una data di inizio, ma non una data di scadenza. Il ministero dello Sviluppo economico (Mise)- annuncia, a domanda precisa de Il Tirreno - venerdì 11 ottobre ha inviato al Consiglio dei ministri il regolamento di attuazione della legge 5/2018. Fuori dal linguaggio della burocrazia, significa che il Mise ha inviato al governo il regolamento che dovrebbe fermare il telemarketing selvaggio. Il regolamento che finora ha impedito di rendere efficace la legge contro le telefonate commerciali moleste che i call center continuano a farci sui cellulari. Ogni giorno, più volte al giorno.

Stiamo parlando di milioni di telefonate alla settimana a cento milioni di utenze. Queste utenze da gennaio 2018 hanno una legge che le protegge (o dovrebbe), approvata grazie a una campagna de Il Tirreno, sostenuta da 122mila lettori che hanno sottoscritto una petizione sulla piattaforma Change.org. La legge consente, infatti, a tutti i titolari di un numero telefonico di iscriversi al Registro delle Opposizioni - fino al 2018 accessibile solo agli abbonati presenti negli elenchi telefonici. L’iscrizione al Registro delle Opposizioni impedisce ai call center di contattare i numeri di telefono inseriti, a meno di un consenso esplicito; consente agli abbonati di revocare tutti i consensi all’utilizzo del proprio numero, rilasciato spesso anche che in modo inconsapevole, prima dell’iscrizione al Registro, magari sottoscrivendo la tessera di un supermercato o di una profumeria.


In pratica, la legge è uno scudo contro il telemarketing selvaggio. Ma per diventare efficace ha bisogno del regolamento di attuazione. Che doveva essere emanato a maggio 2018. Il 4 maggio 2018, entro 90 giorni dall’entrata in vigore dalla nuova normativa. Senza giustificazioni reali, visto che non esistono sanzioni per i ritardi, il ministero dello Sviluppo economico ha rimandato l’elaborazione di questo regolamento. Mai ha rivelato chi lo stesse elaborando, violando uno dei principi fondamentali della pubblica amministrazione: quello della trasparenza e dell’obbligo di riferire il responsabile del procedimento.

Anche ora, non modifica l’atteggiamento. Si limita a dire che «deve bastare sapere che il regolamento è stato inviato al Consiglio dei ministri e che l’iter è ripreso». In estate - quando ancora il ministro dello Sviluppo economico era Luigi Di Maio - l’impegno alla ripresa dell’iter era annunciato «per inizio settembre». Quindi un altro mese è stato perso. Alla domanda precisa: “Quando verrà emanato questo regolamento, già in ritardo di oltre 18 mesi?”, la risposta del ministero è: «Non si sa». Ci si deve accontentare di conoscere la procedura. Che è quella ripetuta da un anno e mezzo: ora il regolamento va in Consiglio dei ministri. La bozza si può vedere, né si può sapere di che cosa tratti. Anche se abbiamo già anticipato le complicazioni segnalate anche dal Garante della Privacy: 1) il cittadino deve precisare le “categorie merceologiche” per le quali non vuole ricevere telefonate moleste (inserite in un’allegato che può essere modificato dal Mise); 2) la revoca del consenso non scatta per «le numerazioni legittimamente raccolte dall’operatore».

Prima di vedere la luce, comunque, il regolamento deve ancora percorrere questi tortuosi sentieri: 1) consiglio dei ministri «dove deve essere calendarizzato» (messo all’ordine del giorno); 2) discussione di nuovo nelle «commissioni parlamentari di competenza» (ma il Mise specifica se siano solo quelle che si occupano di Telecomunicazioni o se ce ne siano anche altre); 3) Consiglio di Stato; 4) Consiglio dei ministri (per il girone di ritorno); 5 Mise per l’emanazione. Tempi? Sconosciuti. Interesse del Parlamento? Non pervenuto. Intanto, però, call center, aziende, società di servizi continuano il business da miliardi di euro con il commercio, anche non autorizzato, dei nostri dati. —

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