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E poi all'improvviso
L'intervista

Cesare Prandelli: «La svolta da mio padre morente, la mia vita nel calcio è iniziata lì»

di Clarissa Domenicucci

	Cesare Prandelli
Cesare Prandelli

Un frase di suo padre lo ha portato a scommettere sul pallone: «Ora sono un nonno felice che vive in pace con se stesso e con gli altri»

22 gennaio 2024
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Cesare Prandelli è rientrato dall’Africa dove ha trascorso il suo tempo più bello facendo il papà e il nonno. «Oggi vivo proprio in pace – racconta a Il Tirreno – e quando sono coi miei nipoti sento di avere tutto, sono realizzato. La purezza dei bambini mi commuove e mi sorprende».

«Tra pochi giorni mia figlia Carolina, che vive a Mogadiscio, rientrerà in Italia per partorire il suo secondo figlio: il mio quinto nipote. Ormai sono un nonno rodato». I primi tre sono del figlio Nicolò, preparatore nel Bologna.

Un signore del calcio dentro e fuori dal campo, Cesare Prandelli è divenuto celebre per quelle scelte, diverse lungo una carriera di successo, che si è ostinato a prendere a dispetto di tutti. La scelta di non affidarsi mai a procuratori, quella delle dimissioni, una costante nella sua vita e poi la decisione definitiva di abbandonare il calcio. Il coraggio e il senso di responsabilità non gli è mai mancato. «Oggi vivo in pace, sono sereno, non inseguo nulla. La vita ti fa incontrare persone meravigliose e si ricomincia sempre, di questo sono grato», ammette.

Lo incontriamo perché ci racconti qual è stato l’incontro che gli ha cambiato la vita e l’ex commissario tecnico della Nazionale e allenatore della Fiorentina ammette di averci pensato a lungo.

Cesare, qual è il giorno in cui la sua vita ha preso un’altra strada?

«È stato un giorno in particolare quando la vita mi è improvvisamente cambiata e fu merito di mio padre. Poche settimane dopo sarebbe morto, volle lasciarmi parole che non dimenticherò mai».

Suo padre era malato?

«Sì. E gli restava poco tempo, così quel giorno mi convocò in camera sua. Papà avrebbe lasciato una piccola azienda che aveva in società con suo fratello e come unico maschio della famiglia era naturale che subentrassi a lui nella gestione. Ma quel pomeriggio volle dirmi tutto il contrario. “Tu devi continuare a giocare a calcio, non pensare al resto. Continua a sognare e vedrai che la passione diventerà il tuo lavoro”, mi disse».

Come si è sentito?

«Prima di quel giorno non avevo mai creduto di poter diventare un giocatore. È stata la giornata più importante della mia vita».

In che momento della sua carriera ha guardato al cielo e pensato: “papà avevi ragione, ce l’ho fatta”?

«Sette mesi dopo quando ho esordito nella Cremonese. Lui che mi aveva sempre accompagnato a Cremona, agli allenamenti e alle partite, anche se aveva poco tempo, quel giorno sugli spalti non c’era e mi è mancato molto».

Papà le ha cambiato la vita esortandola a seguire la sua strada nonostante tutto. Sua mamma?

«Per mia madre dovevo soltanto andare bene a scuola, altrimenti non mi faceva trovare gli scarpini, li nascondeva».

Dai quindici anni unico maschio in casa con tre donne. La matrice femminile è sempre stata marcata nella sua vita.

«Decisamente. L’elemento femminile è molto presente, già da ragazzo vivendo in casa con loro ho imparato moltissimo sull’universo femminile e su come sia impossibile vivere senza. Le donne bisogna curarle bene, sono il fulcro del nucleo familiare; più forti degli uomini e più intelligenti. Le donne capiscono prima».

I valori che le ha trasmesso suo padre li ha insegnati ai suoi figli?

«Valori e concetti sicuramente sì, sono gli stessi. Anch’io li ho spinti a credere nelle loro passioni, anche quando è costato molto, pensi a mia figlia in Africa. Ho ripensato spesso a quel pomeriggio in camera con mio padre».

Lo sport, le passioni in generale, salvano la vita...

«E rispetto a questo ho un appello da fare: riapriamo gli oratori, luoghi super democratici e formativi dove si impara a vivere giocando. All’oratorio si imparava ad aspettare il proprio turno, ad uscire dal campo senza fiatare per fare entrare un altro giocatore. Era un’autogestione molto educativa e ci inventavamo i giochi».

Veniamo al calcio. L’esonero di Mourinho l’ha commentato. Le è dispiaciuto?

«Sì e ne sono rimasto molto sorpreso. Pensavo fosse intoccabile: Mourinho era la Roma».

Gli ha scritto?

«No perché non ho più il suo numero di telefono, gli mando un abbraccio da qui».

Un commento sull’esperimento di questa Supercoppa Italiana?

«Bisognerebbe capire come riportare la nostra gente allo stadio anziché andare lontano per fare i soldi. Ad esempio, io credo si debba rivedere in pieno la formula della Coppa Italia coinvolgendo tutte le quadre anche a livello dilettantistico. Potremmo fare gironi di Coppa Italia da inizio campionato, quello che succede da cento anni in Inghilterra, una formula popolare a differenza di questa nostra. Se vogliamo abbracciare tutti, dobbiamo coinvolgere anche i dilettanti professionisti, così eliminiamo le amichevoli che non servono a nulla».

Inter-Juve, un duello fino a fine del campionato?

«I numeri dicono questo, anche se mi auguro che possano entrare anche altre squadre. Mi piace l’idea di un campionato dove fino alla fine si lotta per il titolo in tre, quattro squadre, sarebbe bellissimo per il nostro calcio. I campionati vinti con due mesi di anticipo solo il massimo solo per chi vince!»

Come il Napoli lo scorso anno

«Già. Bisognerebbe capire come hanno fatto a guastare questo giocattolo che era perfetto». l


 

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