Il Tirreno

Il borgo

Alla scoperta di Maggiano, l’ex ospedale psichiatrico diretto da Mario Tobino

di Stefano Adami
Alla scoperta di Maggiano, l’ex ospedale psichiatrico diretto da Mario Tobino

Sorto in un monastero fin dal Settecento qui si adottarono metodi innovativi per trattare i pazienti, non più considerati come esseri “difettosi”

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Il viaggiatore curioso che attraversa con passo lieve e riflessivo la Toscana segreta che stiamo qui raccontando, giunge al borgo di Maggiano di Lucca solo per un motivo principale. Per visitare in modo approfondito l’ex ospedale psichiatrico dell’abitato, che fu famoso in Italia, e non solo, perché diretto da un grande psichiatra – e grande scrittore e poeta – come Mario Tobino.

L’ospedale psichiatrico era stato fondato alla metà del 18° secolo, quando un imponente edificio, dall’impegnativo nome di Monastero dei Canonici Lateranensi di Santa Maria di Fregonaia, fu dismesso, e adibito a struttura sanitaria. Gli spazi del grande Monastero erano praticamente infiniti, cresciuti intorno al vasto chiostro centrale. Tra il 1770 e il 1773, l’edificio fu completamente ristrutturato, per riaprire finalmente con il nome di Spedale dei Pazzi di Fregonaia.

La storia ci racconta come i primi pazienti fossero undici soggetti, che vi furono trasferiti dal carcere cittadino della Torre. Ma quelli furono gli anni in cui cominciavano ad arrivare anche in Italia le nuove, rivoluzionarie dottrine degli idéologues francesi, anche nel vasto e complicato settore della cura dei cosiddetti alienati mentali.

Giunse anche a Maggiano, dunque, la stupefacente teoria secondo la quale i malati di mente non erano essere umani difettosi, segnati da Dio, o dal diavolo, che dovevano essere soltanto repressi, rinchiusi, cancellati, contenuti. No. Finalmente si poteva pensare che alla radice del disagio mentale ci fosse soltanto una qualche forma di disarmonia del soggetto. Bisognava dunque soltanto indagare quel soggetto, trovare quella specie di disarmonia, curarla. E alla fine di questo percorso, il soggetto avrebbe potuto addirittura rientrare in natura, e nell’umano consorzio. L’ospedale di Maggiano, con le sue sale vaste e serene, le sue radici piantate in un bel colle verdissimo, la sua chiesa vicina, sembrava essere il luogo perfetto per raggiungere questa reintegrazione finale del soggetto con temporaneo disagio.

Qui Maggiano sembra davvero una moderna Kos, l’isola in cui i primi medici filosofi greci curavano miticamente i loro pazienti. Tra la fine del 1700 e i primi dell’Ottocento, infatti, i pazienti di Maggiano erano già curati con delle terapie basate sul lavoro manuale e sul lavoro in campagna. In quegli anni, una terapia davvero rivoluzionaria.

Il viaggiatore che attraversa oggi il grande chiostro, che sosta nelle molte sale, può già sentire il lascito spirituale della presenza di quei primi pazienti dell’ospedale. Nei primi anni Cinquanta del Novecento arrivò poi a Maggiano il suo direttore più famoso, Mario Tobino. Lo scrittore, che era nato e cresciuto a Viareggio e aveva dedicato alla sua terra madre testi bellissimi come “Il figlio del farmacista” e “Sulla spiaggia e di là dal molo”, giunse a Maggiano sull’onda di una profonda vocazione che lo chiamava a condividere le umane sofferenze e i destini dei suoi pazienti.

A Tobino, che era profondamente antifascista, toccò anche di partecipare alla Seconda Guerra mondiale, in una complessa e dura esperienza in Africa, che aveva poi raccontato ne “Il deserto della Libia”. Fu con questa profonda sensibilità umana e professionale che Tobino approdò a Maggiano.

Oggi è ancora possibile visitare lo studio abitato dallo scrittore quando lo dirigeva.

Alla vita dell’ospedale psichiatrico, poi, Tobino dedicò più di un capolavoro. Il primo è certamente il bel volume “Le libere donne di Magliano”, che Tobino pubblicò a Firenze, presso l’editore Vallecchi, nel 1953. È un libro scritto nella forma tesa e intensa di un diario quotidiano, e racconta l’arrivo dello scrittore come responsabile del reparto femminile dell’ospedale. In queste sale Tobino scopre che la differenza tra “sani di mente” e “malati” non è poi così profonda, e che la malattia mentale ha i suoi linguaggi, che devono essere solo ascoltati e capiti, per instaurare finalmente un dialogo ed uno scambio umano. È un volume di una profondissima delicatezza esistenziale. E di altrettanta capacità di comprensione. Lo scrittore torna a scrivere dell’ospedale psichiatrico vent’anni dopo, nel 1972, in “Per le antiche scale”, una tesissima raccolta di racconti, ognuno dedicato ad un paziente dell’ospedale. L’ultimo volume dedicato alla struttura ed ai suoi pazienti è certo il più amaro. Si tratta de “Gli ultimi giorni di Maggiano”, del 1982, che racconta della chiusura del grande ospedale. E i pazienti, che fine faranno? Il viaggiatore, alla fine, si trova a inseguire solo domande a cui forse solo il suggestivo edificio e il piccolo borgo possono rispondere.