Il Tirreno

Nel capoluogo

Nella casa del mercante: un osservatorio speciale su Firenze nel '300

di Gabriele Rizza
Nella casa del mercante: un osservatorio speciale su Firenze nel '300

Riallestimento di Palazzo Davanzati: nelle stanze dell’antica dimora possiamo farci un’idea della vita quotidiana e degli spazi domestici di sette secoli fa

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Volendo intercettare, o anche solo farsi un’idea, di quella che era la qualità della vita, degli agi quotidiani e degli spazi domestici di cui godevano le ricche famiglie di mercanti e notabili nella Firenze del Tre/Quattrocento, Palazzo Davanzati può essere un osservatorio speciale. E un testimone eccellente. Tanto più ora che dopo sei mesi di lavori riapre al pubblico, completamente rinnovato e riallestito, “rinforzato” da una serie di novità e un investimento dello Stato, attraverso il Ministero della Cultura, che sfiora i 600mila euro. Un archivio di sette secoli Incastonato nel cuore antico della città, salvato dalle operazioni di “bonifica” che con Firenze Capitale colpirono l’area del vecchio ghetto riconvertita nell’odierna piazza della Repubblica, Palazzo Davanzati si impone come magnifico esempio, fra i più evoluti e meglio conservati, del dispositivo tecnico architettonico ambientale che caratterizzava gli edifici medioevali di Firenze.

Coi suoi sette secoli di vita Palazzo Davanzati è un inestimabile archivio, una camera delle meraviglie che non finisce di sorprendere, una fonte e un contenitore di memorie da studiare, arricchire, confrontare. Simbolo di fiorentinità Il Palazzo fu fatto costruire dalla famiglia Davizzi nella prima metà del Trecento, acquistato dai Bartolini nel 1516 e infine abitato dai Davanzati dal 1558 fino ai primi decenni dell’Ottocento. Dal punto di vita urbanistico segna il passaggio dalla tipica casa torre medievale alla dimora mercantile, in uno sviluppo verticale su quattro livelli più il piano terra. Agli inizi del Novecento passò di proprietà a Elia Volpi, mercante d’arte e antiquario, che ne ripristinò l’aspetto originario facendone una sorta di “rappresentante” onorario della fiorentinità abitativa in epoca rinascimentale, seppur parziale e incompleta. Il medesimo intento guidò Luciano Berti quando nel 1956, dopo l’acquisto da parte dello Stato, inaugurò il Museo, arredandolo con oggetti provenienti dalle collezioni fiorentine, un patrimonio che nel corso degli anni si è via via irrobustito con acquisti e donazioni.

Il nuovo allestimento «Senza in alcun modo venir meno a queste idee primigenie – spiega Paola D’Agostino, direttrice dei Musei del Bargello di cui il Davanzati oggi fa parte – abbiamo fatto un lavoro di riordino e aggiornamento integrando il percorso esistente con un nucleo di opere in prestito temporaneo provenienti dai depositi del Bargello. Si tratta di pezzi che dialogano, in termini temporali e culturali, sia con quanto di più rappresentativo qui si trova ma anche con l’edificazione e le epoche più significative vissute dagli abitanti del Palazzo». Capolavori e rarità A fare la differenza del nuovo itinerario espositivo sono in primis un prezioso armario risalente al 1530, dipinto a grottesche, realizzato in ambito senese e destinato alla custodia di armi, elmi e corazze appartenute ai Lanzichenecchi, come indicano le iscrizioni a lettere capitali sull’architrave.

E poi la magnifica “Coperta”, manufatto di incomparabile raffinatezza, commissionata dai Guicciardini alla metà del Trecento a ricamatori siciliani, che ora torna visibile in una sala a lei destinata, dopo un oblio più che trentennale, per finire con il trionfo dei merletti antichi, che rappresentano un “unicum” del museo, una delle raccolte più preziose e ricche d’Italia, forte di oltre duemila pezzi. Il risultato di questi interventi si apprezza soprattutto in un “attraversamento” delle stanze, fra pareti affrescate e soffitti a cassettoni, più avvolgente e coinvolgente, didatticamente più fluido e comprensibile, rispettoso delle tradizioni, degli squarci luminosi come degli anditi bui, quanto esemplificativo del potere immaginifico che questi ambienti, apparentemente chiusi ma proiettati verso l’alto, intrisi di una quotidianità subito riconoscibile, sanno trasmettere al visitatore, come archetipo della casa fiorentina rinascimentale. Dalla Sala dei Pappagalli alla Camera dei Pavoni, accanto ad opere di Antonio Rossellino, Lorenzo Ghiberti, Jacopo del Sellaio, Mariotto di Nardo, l’allestimento procede per epoca, dal primo piano, riservato al Tre e Quattrocento, al secondo che attraversa il Cinque e il Settecento, per approdare al terzo dove spiccano i già ricordati merletti e ricami. Infine, nella Camera delle Impannate, hanno trovato sistemazione i cosiddetti “Trionfi”, ispirati a Petrarca e dipinti da Giovanni di Ser Giovanni, detto Lo Scheggia, fratello minore di Masaccio.

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