Il Tirreno

L’ARTE RITROVATA 

Gli affreschi svelano il maestro «Si, quei volti sono di Giotto»

PAOLA TADDEUCCI
Gli affreschi svelano il maestro «Si, quei volti sono di Giotto»

La scoperta nella basilica padovana di S. Antonio dopo anni di esami e dibattiti Opere “nascoste” per secoli fino alla riscoperta dell’inconfondibile tratto 

29 agosto 2021
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PAOLA TADDEUCCI

I volti dall’incarnato roseo, i chiaroscuri delle mani, le vesti dai colori mutevoli. Esattamente come li aveva dipinti Giotto, ai primi del 1300. È questa la scoperta restituita dal restauro degli affreschi in corso nella Cappella di Santa Caterina della Basilica di Sant’Antonio a Padova. Le opere di S. Caterina – sulle quali ci sono ancora aspetti da chiarire – fanno parte di questo insieme di eccezionale valore universale con altri affreschi di Giotto e di artisti che ne seguirono l’insegnamento: in totale otto siti, il più famoso dei quali è la Cappella degli Scrovegni, considerato il massimo capolavoro del pittore e architetto toscano. La cui mano originale è ora venuta alla luce negli affreschi di Santa Caterina, che si trovano nel sottoarco e rappresentano otto busti di sante sormontate da aureole, all’interno di riquadri e decorazioni in stile gotico. In molte parti delle opere la pittura di Giotto – con i suoi colori, i cangiantismi, i chiaroscuri – è stata pesantemente coperta, fino a rimanere nascosta. Un attento lavoro ha permesso di eliminare la scialbatura che, mai rimossa, impediva la lettura delle parti originali. Uno, in particolare, l’intervento colpevole di aver radicalmente stravolto la decorazione: quello del pittore Giuseppe Cherubini al quale tra il 1924 e il 1925 fu affidato l’incarico di un radicale restauro degli affreschi, dopo che nel 1923 l’intonaco dell’arco era in gran parte caduto. Cherubini, tuttavia, non si limitò a ricostruire quello che mancava, ma intervenne anche sulla pittura di Giotto, ridipingendo le figure originali secondo il proprio gusto personale. Già a metà del 1700, poi, c’era stato un pericoloso precedente quando, per lavori complessivi alla Cappella, vennero manomesse molte pitture. Bastava già tutto questo per gridare alla necessità, fin dagli anni Sessanta, di un profondo lavoro di restauro per gli affreschi di Santa Caterina, che peraltro risultavano fortemente danneggiati dall’incuria. Ma si è dovuto aspettare il terremoto del 2012 per arrivare ad un progetto: lL’iter è partito due anni dopo grazie alla candidatura Unesco, che ha consentito di ottenere i finanziamenti. I lavori sono iniziati a marzo 2021, con la direzione scientifica di Giovanna Valenzano, professoressa di storia dell’arte all’università di Padova, mentre il restauro è a cura di Natascia Pasquali. Che spiega: «L’alga mi permette di asportare il deposito di sporco in superficie senza bagnare troppo il supporto; con il bisturi, poi, rimuovo lo scialbo». E quanto sia importante, oggi, quest’opera di rimozione lo dimostra anche la storia degli affreschi. Soltanto nel 1968, infatti, la storica dell’arte e studiosa di Giotto, Francesca Flores d’Arcais, riconobbe in quelle immagini la mano del sommo maestro, ipotesi avvalorata da altri esperti, tra questi Giacomo Guazzini che nel 2015 riconobbe, sempre nella Basilica del Santo, un’altra opera di Giotto: l’immagine del grande tabernacolo nella Cappella della Madonna Mora. In seguito Guazzini ha analizzato a lungo il sottarco della Cappella di Santa Caterina e dopo una serie di confronti ha sottoscritto l’autografia di Giotto. A conferma è arrivata anche la scoperta di un dettaglio: l’immagine di una scrofa azzurra, stemma degli Scrovegni, la famiglia che nel 1303 commissionò a Giotto la celebre cappella. Per Guazzini le decorazioni di S. Caterina sarebbero precedenti: un test in vista del successivo e più grandioso lavoro.

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