Il Tirreno

Pavarotti, debutto e trionfo «Che gioia, il teatro esplose»

Anna De Micheli
Pavarotti, debutto e trionfo «Che gioia, il teatro esplose»

La prima moglie del tenore Adua Veroni ricorda con nostalgia l’esibizione «A Reggio Emilia cantò “Che gelida manina”, il pubblico si entusiasmò»

29 aprile 2021
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Anna De Micheli

MODENA. «La serata del 29 aprile 1961 fu molto emozionante. Allora eravamo fidanzati da otto anni. Luciano aveva cantato in pubblico in altre occasioni e non sempre con successo. L’esibizione al Teatro Municipale di Reggio Emilia rappresentava dunque la prova del fuoco. Gigetto Reverberi, direttore del teatro, era una bellissima persona, con i ragazzi si comportava come un padre».

Così Adua Veroni, che per oltre quarant’anni ha dedicato la propria vita al “tenorissimo” Luciano Pavarotti. Guidati dalla sua voce calda e profonda torniamo indietro nel tempo. Siamo lì con lei, sessant’anni fa. «Tutti aspettavano con le orecchie tese la prova del basso Dmitri Nabokov, figlio dell’autore di Lolita. Ne “La Bohème” diretta da Francesco Molinari Pradelli, Nabokov interpretava il ruolo di Colline. Ma nel momento in cui Luciano, nei panni di Rodolfo, cantò la famosa aria “Che gelida manina” il pubblico si entusiasmò. Non smetteva più di applaudire. Il teatro, peraltro stracolmo, esplose. Quella sera era presente anche Alessandro Ziliani, noto tenore diventato poi un importante imprenditore. Ziliani restò subito colpito dall’interpretazione di Luciano tanto che gli fece firmare un contratto per il teatro di Lucca. Un contratto da quarantamila lire a serata. Dopo il riscontro ottenuto a Reggio Emilia, decidemmo di sposarci. Era il 30 settembre 1961. Non avevamo molti soldi, lo zio di Luciano ci aiutò ad acquistare la camera da letto».

Il successo ha cambiato Pavarotti?

«Sì, Luciano è cambiato. Lui era un ragazzo “di periferia” gioviale, allegro e oltremodo simpatico. Nel tempo ha mantenuto questa sua simpatia ma la fama non lo ha lasciato immune, del resto è difficile per chiunque gestire la popolarità. Luciano era diventato abbastanza pretenzioso, molto esigente. Generoso con gli amici però assai consapevole del proprio valore. In America bastava che alzasse un dito, che inarcasse un sopracciglio ed ecco che qualsiasi suo desiderio veniva esaudito. Credo che lui un poco se ne approfittasse».

Come ha conosciuto Luciano?

«Frequentavamo la stessa scuola. Quando ci siamo incontrati eravamo entrambi giovanissimi, 15-16 anni. Se prima di fidanzarmi con Luciano ascoltavo la musica lirica? Nella mia famiglia l’opera era parecchio apprezzata. Io da ragazzina sarò andata un paio di volte a teatro ma più che altro i miei avevano l’abitudine di ascoltare la lirica alla radio. In tutta onestà non è che allora a me piacesse granché. Poi però ho iniziato a leggere con grande soddisfazione i libretti d’opera, mi ero innamorata di Mario Cavaradossi, il pittore de “La Tosca”. La Tosca è stata il primo disco che ho regalato a Luciano».

Quale era il ruolo prediletto da Luciano?

«Rodolfo era un suo cavallo di battaglia ma penso che Luciano si sentisse a proprio agio soprattutto nel ruolo di Riccardo, il conte protagonista de “Un ballo in maschera” di Verdi. Riccardo ama Amelia, moglie del suo amico Renato ma proprio per fedeltà nei confronti dell’amico rinuncia al suo grande amore. Nonostante ciò Renato, credendo di essere stato tradito, lo uccide. Il conte di Warwick è un personaggio completo, un uomo a tutto tondo. Come pensava di essere Luciano».

La voce è tutto?

«No. Una bella voce è fondamentale ma quel che segna davvero la differenza è la capacità di trasmettere i tanti sentimenti che l’opera riassume in sé. Succede lo stesso con i quadri. Io non mi vergogno di dire che più volte di fronte a un dipinto impressionista ho quasi pianto, la commozione è stata fortissima. E ho pianto anche ascoltando alcune opere, in primis “Bohème”. Luciano aveva una voce pura, con l’argento dentro. Arrivava diretta al cuore». —

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