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L'orologio sabotato, allenamenti a Natale e la Silicon Valley del talento: da Livorno all'Italbasket, così è nato il “Banchismo”

di Federico Lazzotti

	Luca Banchi
Luca Banchi

Luca Banchi, allenatore grossetano cresciuto al Don Bosco, è il nuovo tecnico azzurro: l'arrivo in città nell'estate del 1988, dai tre scudetti Juniores al tricolore con Milano fino al giro del mondo che lo ha portato alla nazionale

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LIVORNO. Per capire il “banchismo”, da ieri nuova filosofia (e speranza) del basket azzurro, è necessario tornare indietro di 37 anni. Dove tutto è iniziato. Un viaggio fatto di vittorie in contropiede, rimbalzi contesi, scudetti, cadute, fatiche e blocchi (di carriera) inaspettati, nuove transizioni e rivincite, fino al canestro più bello, quello realizzato con la panchina dell’Italbasket.

È l’estate del 1988 quando Massimo Faraoni, oggi presidente della Fip Toscana e allora giovane dirigente, sceglie un ragazzo sconosciuto di nome Luca Banchi come nuovo allenatore del Don Bosco Livorno, la squadra dei preti nella città più rossa della Toscana che allora tutti chiamano Basket City, altro che Bologna.

L’intento è chiaro quanto folle e coraggioso in quegli anni della Livorno divisa in due: partendo dal settore giovanile – in mezzo alle superpotenze Libertas e PL, allora in A1 – il Don Bosco vuole farsi largo nel mondo dei canestri con un progetto giovane e lungimirante. Luca è di Grosseto, quartiere Gorarella, dove ha cominciato ad allenare, ha 23 anni, la faccia pulita e lo sguardo deciso. Si capisce subito che vede il campo da basket da un’altra prospettiva: nuova, diversa, innovativa. La pallacanestro per lui è scienza, applicazione e ossessione. Studia i sistemi di gioco e di allenamento d’Oltreoceano, guarda i video con il Vhs. Scrive, disegna metà campo in serie, tratteggia i passaggi, prende spunto e poi rielabora schemi, movimenti e fondamentali. Inventa esercizi per far sì che siano il più possibile vicini alle situazioni di partita. Chi lo ha incontrato in quel periodo sperimentale come i primi Pink Floyd, ricorda due cose: la resistenza nello stare in palestra giorni interi senza mai dare segni di stanchezza e le urla con cui corregge i suoi giocatori quando sbagliano. Un po’ insegnante e un po’ sergente di ferro da un passaggio all’altro, veloce come un cambio di direzione nel dare tanto e pretendere in cambio la stessa moneta.

Il laboratorio dove il Banchismo costruisce le sue fondamenta è la palestra dei Salesiani: linoleum scolorito e ferri duri come gli scogli di Calafuria. Raccontò Faraoni per spiegare la filosofia del suo allenatore prediletto: «Ai Salesiani le luci si spegnevano automaticamente alle 22, 30, Banchi sabotò l’orologio per continuare fino alle 23». Probabilmente avrebbe potuto e voluto proseguire anche dopo la mezzanotte, tanta era la fame di insegnare e sperimentare. Ma il modo di dormire poco lo trova presto, sia per lui che per i suoi giocatori: allenamenti individuali prima di andare a scuola, dalle 7 alle 8. Roba da marines, come quelli a Natale e il primo dell’anno. Ma così lavoro e talento si mischiano, le sfortune di Libertas e PL – dalla sinergia alla scomparsa – spianano la strada al Don Bosco, dove Banchi diventa un riferimento didattico e linguistico.

Una specie di guru dal quale imparare e imitare. Arrivano giovani che camperanno di pallacanestro: Burini, Santarossa, Parente, i fratelli Gigena, l’airone Podestà. E poi Cotani, Giachetti e Garri che sarà argento olimpico ad Atene. Dalla palestra dei Salesiani, il Don Bosco si trasferisce in quella lasciata libera dalla Libertas. E con Banchi in panchina arrivano tre scudetti Juniores. Luca è un oracolo: alle porte del Don Bosco bussano da tutta Italia, Livorno diventa la Silicon Valley della palla a spicchi. Qui si sperimenta: la foresteria, lo scouting, il sistema. E si vince. Dalla Terra Promessa del parquet di via Pera e poi del PalaMacchia passano allenatori come Walter De Raffaele, Alessandro Ramagli (il suo nome è tra i possibili componenti dello staff dell’Italbasket) Marco Sodini e Andrea Diana.

La carriera di Banchi prende il volo: a Trieste nel biennio 1999-2001, il ritorno a Livorno fino al 2004. Nei due anni seguenti è in A2, prima a Trapani e poi a Jesi. Nel frattempo, le sue prime esperienze in Azzurro: nel 2001 guida la Nazionale Under 20 vincendo il “Challenge Round” e nello stesso anno conquista il bronzo ai Giochi del Mediterraneo con la Nazionale Sperimentale. Nel 2004 è secondo ai Mondiali Militari. Nel 2006 il grande salto, sempre in Toscana: entra nello staff tecnico della Mens Sana Siena targata Mps come assistente di Simone Pianigiani contribuendo alla vittoria di cinque Scudetti, cinque edizioni della Supercoppa italiana e tre edizioni della Coppa Italia (vinti sul campo e poi revocati). Nel 2013 è all’Olimpia Milano: scudetto al primo anno, impresa che nessun allenatore del club era mai riuscito a realizzare prima. Ma qui qualcosa si rompe, o forse la parabola cambia solo direzione.

Banchi comincia il giro del mondo dei canestri: Bamberg in Germania, Aek Atene in Grecia, dove vince la Coppa Intercontinentale, e poi al Lokomotiv Kuban in Russia. Prima di accettare l’incarico di allenatore della Lettonia, è ai Long Island Nets (affiliata dei Brooklyn Nets) in G-League come assistente di Bret Brielmaier. Proprio sulla panchina della Lettonia torna sotto i riflettori internazionali portando una nazionale sconosciuta al quinto posto ai Mondiali di due anni fa. Un mezzo miracolo sportivo che gli vale il premio di miglior allenatore del torneo e gli apre le porte al ritorno in Italia dalla porta principale, sulla panchina della Virtus Bologna, dove appena arrivato vince la Supercoppa contro Milano. Venerdì 3 ottobre Luca Banchi sarà presentato alla stampa. Alla palestra dei Salesiani la luce resterà accesa. 




 

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