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Il bello, il brutto e il cattivo delle panchine

di Fabrizio Bocca
Max Allegri
Max Allegri

Allegri, Sarri, Italiano: storie di allenatori e di feeling perduto con i tifosi

17 settembre 2022
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Il Buono, il Brutto, il Cattivo. Facce scavate, ghigno e moccoli tirati al vento, Vincenzo Italiano, Maurizio Sarri e Max Allegri oggi recitano nello stesso western all’italiana. Ci fosse ancora Sergio Leone insisterebbe sui loro occhi in primo piano in un arido, enorme cimitero disseminato di croci mentre si affrontano, colt alla mano, in duello. O meglio triello.

Certi allenatori si autoallenano alla bufera, stare al centro del mirino fa parte della loro quotidianità. Non godono quasi mai dei momenti belli per essere pronti ad affrontare il vento contro quando inevitabilmente arriverà. Antonio Conte è fuori giri già quando vince - Juventus, Nazionale, Chelsea, Inter, Tottenham, sempre così - Max Allegri litiga con Sacchi o Adani al solo sentir filosofare di 4-4-2 e schemi vari, Maurizio Sarri può bestemmiare e mostrare il medio se solo dalla panchina avversaria lo guardano un po’ storto. Figuriamoci ora che le cose precipitano e che i risultati non sostengono i guru del pallone. Soprattutto quelli che del risultato, vedi Allegri, hanno fatto la loro religione e ora annaspano nella carestia di punti e di gol, affrontando invece un diluvio di suffissi “out” sui social. Il moderno pollice verso della folla tifosa assatanata. #Allegriout e vai così.

Il ritorno di Max Allegri alla Juventus è stato finora uno sconveniente equivoco. Zero tituli lo scorso anno, un calvario oggi. Era troppo bella e perfetta la prima storia, anche se conclusa con una separazione concordata, per poter essere replicata così facilmente. In realtà era cambiato lui - o forse il problema è che non è cambiato affatto - ed era cambiata soprattutto la Juve, per cui nessuno dei due ha ritrovato più le cose al suo posto. Dallo spazzolino da denti al centrocampo.

Oggi la Juventus e Allegri stanno insieme senza amarsi e sicuramente per interesse. Il divorzio, a spanne, costerebbe alla Juventus almeno 50 milioni secchi, e l’ad Maurizio Arrivabene - ex Ferrari, uomo di gestione ma non di calcio, quello che ha voluto per forza mandar via Dybala che ora pare essere rinato alla Roma - ha avuto pure la delicatezza di dirlo al mondo intero. «E chi lo paga il nuovo allenatore?» Un elefante in cristalleria.

Finché sarà possibile, dunque, si tirerà avanti così, fingendo che la famiglia sia felice e perfetta, come in un quadro di Hopper, poi potrebbe pure arrivare il momento in cui anche Andrea Agnelli si arrenderà all’idea di aver fatto un errore nel voler richiamare il vecchio allenatore pagandolo un terzo di Ronaldo. Curioso il classico totoallenatore, c’è di tutto: parte da Montero, passa da De Zerbi e Zidane, finisce ad Antonio Conte per giugno prossimo. Cioè il ritorno del ritorno al passato.

Dicono che l’allenatore nelle fortune o sfortune di una squadra di calcio conti al 20%. Qualcun altro dice che un allenatore conti più o meno quanto 4 giocatori, diciamo un reparto intero, che so, il centrocampo. Allegri stesso però ne sminuiva il ruolo dicendo: «Nel basket a 5” dalla fine la palla si passa al più bravo, non contano gli schemi». Secondo Lippi «l’importanza dell’allenatore è invece decisiva». E quindi assai di più del famigerato 20%. Secondo Cosmi: «l’allenatore conta l’1% in mano della società». E forse questo è il trionfo di un buon senso campagnolo, ci dà una precisa graduatoria delle responsabilità. Di qualunque squadra e di qualunque situazione si parli.

Ma intanto gli allenatori fanno discutere, tengono banco, in certi momenti è l’unico pezzo che si può cambiare di una squadra sfasciata. Alla Lazio ad esempio è già finito l’innamoramento per Sarri e il Sarrismo. Dopo la batosta in Danimarca il Comandante ha minacciato di andarsene e ha fatto partire la caccia al Giuda che sta spaccando lo spogliatoio. Chi sarà? C’è un giallo nello spogliatoio. Mah, più che Rinus Michels qui siamo al livello di Eziolino Capuano.

Si pensa che l’allenatore sia un alchimista. A un certo punto si è creduto che Vincenzo Italiano potesse smontare e rimontare la Fiorentina cambiando i giocatori come un blocco di Lego, pezzi uno uguale all’altro. Da Terracciano o Gollini in porta fino al centravanti. L’importante era che i pezzi li maneggiasse lui.

Il buco lasciato da Vlahovic si è avvertito non nell’immediato, ma alla lunga: Cabral, Piatek o Jovic semplicemente non sono la stessa cosa e non hanno gli stessi incastri. La produzione di gol è scesa drammaticamente e nemmeno la media punti è la stessa. Non è ancora finito settembre e già la Fiorentina è appassita, svuotata di energie ed entusiasmo. E l’allenatore ha tristemente scoperto che non sarà un blocchetto di Lego e una rete estenuante di passaggini a salvargli la panchina.

 

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