Il Tirreno

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5 luglio 1982

Quel giorno che il Brasile odiò l’Italia: al Sarrià la partita diventata leggenda

Simone Fulciniti
Quel giorno che il Brasile odiò l’Italia: al Sarrià la partita diventata leggenda

I gol di Rossi, la saggezza di Bearzot, l’impresa che fece piangere Zico, Falcao e la Seleçao

05 luglio 2022
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Barcellona, 5 luglio, 1982. Estadio Sarrià. Spettatori 40mila circa. Fa un caldo infernale. Sono le 17 del pomeriggio: due squadre sono schierate a centrocampo per gli inni nazionali. Una ha la maglia gialla coi risvolti verdi, i calzoncini celesti e i calzini bianchi. Tutti i pronostici la disegnano come super favorita. L’altra ha la maglia azzurra, i calzoncini bianchi e i calzini azzurri. Nonostante sia reduce da una bella vittoria, il coro unanime degli esperti la condanna come vittima sacrificale.

«In verità vi dico - scrive il vate Gianni Brera su Repubblica - che domani faremo le valigie e torneremo a casa ragionevolmente appagati». La partita in questione è Italia - Brasile, più che una partita un crocevia che cambierà per sempre la filosofia del calcio internazionale. Una sfida entrata nella leggenda, iconica, dotata di poteri magici: ancora oggi, a quarant’anni precisi di distanza, rivederne le azioni salienti, provoca emozioni incontenibili, quasi il tempo si fosse fermato.

Quando suona la “Marcha Triunfal”, inno brasiliano, i volti dei giocatori verdeoro appaiano concentrati e rilassati. Una formazione in grado si spazzare via chiunque: c’è un campione assoluto del calibro di Zico, asso del Flamengo, considerato il più forte del mondo al pari di Maradona. C’è il dottor Socrates, dal nome talmente lungo da sembrare una filastrocca. Piede piccolo, porta il 38, nonostante il suo 1.92m di altezza. Lo chiamano “il tacco che la palla chiese a Dio”. E che dire del terzino con l’estro del centrocampista Leo Junior: prima del mundial di Spagna, ha inciso una canzoncina propiziatoria “Voa Canarinho, voa”, dedicata alla “seleçao”.

In avanti i verdeoro schierano Eder, testa matta, facile alla rissa, ma dotato di un sinistro potentissimo: si vocifera che i suoi tiri corrano a 200km all’ora. In questo frullato di talento ci sono due uomini d’ordine, spesso decisivi: Falcao, giocatore a tutto campo, col vizio del gol, e Cerezo, coi proverbiali calzini abbassati, dotato di classe sopraffina. Chiudono il quadro una difesa dai piedi buonissimi, Leandro, Oscar e Luizinho. Infine gli elementi considerati anelli deboli di una catena perfetta: il portiere Valdir Peres (sarà capro espiatorio) e la punta Serginho. L’Italia, esaltata dall’inno di Mameli, risponde con un undici diventato proverbiale: Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. La sfida è l’ultimo atto del “gruppo della morte”, mini girone del secondo turno in cui è inserita anche la già eliminata Argentina. Ma, come sono arrivate le contendenti a giocarsi questa partita? Innanzitutto entrambe hanno sconfitto l’albiceleste di Maradona e Passarella : 2-1 l’Italia con reti di Tardelli e Cabrini. 3-1 il Brasile con reti di Zico, Serginho e Junior. Dunque per passare in semifinale i sudamericani hanno a disposizione due risultati su tre. I verderoro, allenati da Tele Santana (al suo esordio mondiale), nel primo turno hanno schiacciato Unione Sovietica, Scozia e Nuova Zelanda. C’è poco da dire: giocano a calcio, corrono, sono veloci, con una tecnica da libri di scuola, e tonnellate di talento. 10 reti segnate, 2 subite. Tutti hanno dato l’impressione di poter andare a rete.

L’Italia invece nelle "eliminatorie" ha collezionato appena 3 pareggi, segnando 2 reti e subendone 2. E nessuno ha dato l’impressione di sentirsi a proprio agio con i gol, men che meno gli attaccanti. La stampa attacca, gli azzurri non parlano più. I giornalisti nostrani tifano spudoratamente Brasile. Dirige l’israeliano Abraham Klein, arbitro scampato all’olocausto, ma questa è un’altra storia.

Enzo Bearzot “il vecio”, ct della nazionale, prende decisioni importanti, alcune all’apparenza sballate. Porta la squadra controvoglia a vedere Brasile - Argentina, sotto un sole cocente «dalla tribuna si vedono bene tutti i movimenti» sostiene. Poi, in corsa cambia le carte in tavola: Gentile, che ha annullato Maradona, è l’uomo giusto per Zico. Sistema Oriali dalle parti di Eder. E Collovati sul “bidone” Serginho «il giocatore fondamentale dell’attacco avversario - spiega-. Sa tenere la palla alta e apre spazi decisivi a Zico e compagnia bella». In ultimo, nonostante le critiche subite da una nazione intera, e quattro prove che definire opache sarebbe un complimento, schiera ancora Rossi al centro dell’attacco. Sulle tribune sono presenti tanti italiani, ma domina la “torcida brasileira". Lo spettacolo, nonostante l’impianto fatiscente, è totale. L’inclinazione terrestre subisce una variazione al 5’: Paolo Rossi, da Prato, criticato, vilipeso, offeso dall’intera penisola, segna di testa sfruttando un cross perfetto di Cabrini. È l’inizio di una giornata irripetibile, che lo porta a siglare una tripletta. A nulla valgono le segnature di Socrates prima e di Falcao poi, quella del pareggio che sembrava dare gloria ai favoriti. Perché Rossi ne mette un terzo, e poi Antognoni un quarto, ingiustamente annullato. L’ultimo brivido è azzurro: Zoff blocca sulla linea un colpo di testa di un Oscar che già stava esultando. Il cielo sopra Barcellona è azzurro, lo canta anche Pupo in una “hit” dell’epoca. Il gigante abbattuto 3-2. La storia riscritta. Mentre l’Italia esulta, e tutti saltano sul carro dei vincitori, in Brasile si consuma la "tragedia del Sarria”: ospedali pieni di ipertesi e infartuati. Suicidi dovuti a scommesse perdute, atti vandalici, si registra persino un omicidio. Una delusione che prosegue fino ad oggi. Se andate in Brasile, guardatevi bene dal pronunciare questo nome: Paolo Rossi. l


 

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