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Dopo 42 anni il Prato non è più la Toccafondese

Paolo Toccafondi
Paolo Toccafondi (a destra), ultimo presidente del Prato calcio
Paolo Toccafondi (a destra), ultimo presidente del Prato calcio

La fine della proprietà più longeva d’Italia: una famiglia, una città e il calcio pane e salame. Ora arriva il gruppo Commini

30 aprile 2021
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Cambio di proprietà per l'Ac Prato. La gestione della famiglia Toccafondi si interrompe dopo 42 anni: il presidente Paolo Toccafondi ha ufficializzato l'atto di cessione del club alla società Commini Group. Questo il ricordo del “nostro” Paolo Toccafondi, omonimo del presidente.

Quando prese il Prato nel 1979 Andrea Toccafondi aveva 32 anni. Lo fece, come disse lui “d’imbracciata”, con l’entusiasmo e l’incoscienza di un giovane imprenditore di successo a capo di un’azienda di autotrasporti, appassionato di calcio. Era già una rarità nella città del tessile. E infatti ai big del tessile erano legate le ultime glorie del Prato, le stagioni in B negli anni Sessanta, seguite da un periodo di crisi tra gestioni commissariali e la caduta in Quarta serie (la D). Nel 1976 era arrivato un fiorentino, Alfredo Senatori, a risollevare il Prato riportando entusiasmo (12.000 spettatori al Lungobisenzio in D) e un fiorire di Prato club in tutto il territorio. Ma la spinta dei Senatori si era esaurita e allora si era fatto avanti il “biondino” come lo chiamavano gli altri industriali.

Partì con grandi ambizioni, il ritorno tra i Cadetti era l’obiettivo fisso, anche se tenuto sotto traccia. Il sogno venne sfiorato in un paio di occasioni: nella stagione 1986-87 con Piero Lenzi in panchina, una rimonta esaltante e la promozione sfumata nelle ultime due partite in circostanze che lasciarono l’amaro in bocca; e nel 1988-89, quando la promozione era ancora possibile all’ultima giornata e svanì nello scontro diretto a Reggio Emilia. Da allora l’orizzonte della B si allontanò e l’obiettivo diventò la sopravvivenza.

Cominciò la contestazione dei tifosi contro la famiglia Toccafondi, le scritte sui muri della città (“Toccafondi vattene”), lo stadio che si svuotava. E lui che punto sull’orgoglio e fedele al suo personaggio un po’ macho li sfidava. Così, più lo accusavano di aver trasformato il Prato in un giocattolo personale e di essere disposto a farlo giocare anche nel giardino di casa, più lui dichiarava che la C era anche troppo per questa città ingrata e ribadiva: «Senza di noi il calcio sparirebbe da Prato». Il principio era: prima i conti, poi i risultati. Nei bar sostituivano “Prato” con “Toccafondese” e lui puntuale annunciava alla fine di ogni stagione, sempre più deludente, che il Prato era in vendita a una lira (poi a un euro), per dire che i conti erano a posto e per dimostrare che non c’erano alternative alla sua gestione.

Sono passati così 35 lunghi anni, vissuti in su e giù, sei promozioni e altrettante retrocessioni, ma sempre sulle scale del condominio serie C. Altre società fallivano, il Prato viveva nel piccolo cabotaggio della terza serie: mai un fallimento, certo, bilanci in ordine, ma mai una gioia. Una lunga linea piatta che ha fatto del Prato la squadra con più partecipazioni alla C. Intanto Toccafondi si era allontanato, stava sempre più a Bergamo doveva aveva trasferito la sua attività, ma soprattutto il calcio si era allontanato da lui. Aveva sempre rivendicato la sua idea di calcio “pane e salame” dove lui faceva tutto, compreso il calciomercato. Spesso con buoni risultati, visto che arrivavano giovani come Maccarone e Matri, qualche volta meno. Lui diceva che il calcio era una cosa semplice, “roba di terzini e centravanti”, orgoglioso e puntiglioso “uomo del fare”.

Uno così non era più al passo con il calcio del marketing e dei procuratori, dei manager e poi dei social. Nel 2014 Andrea lasciò la guida al figlio Paolo, che nel Prato aveva anche giocato come portiere. Ma ormai anche salvarsi era diventata un’impresa, alla rottura con la città si era aggiunta quella col Comune del sindaco-tifoso Biffoni che aveva negato al Prato il Lungobisenzio. Senza nemmeno lo stadio, costretto a emigrare a Montemurlo, il Prato era sceso dopo 110 anni per la prima volta nei dilettanti mentre Paolo Toccafondi, dovendo scontare una squalifica a 20 mesi per il traffico di calciatori africani, lasciava il posto alla sorella Donatella.

Adesso che la famiglia Toccafondi lascia, si può dire che il Prato l’hanno amato davvero. Se ne vanno stabilendo almeno un record: quello della proprietà più longeva di una squadra di calcio in Italia, 42 anni. Ma il bilancio sportivo non è certo quello che si sarebbe immaginato nel 1979 il 32enne Andrea. —

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