Prato e il “cattivo lavoro”. La Diocesi avverte: «Siamo tutti responsabili»
Un documento della Pastorale sociale invita a riflettere sulle connessioni tra l’economia “dei pratesi” e quella “dei cinesi”
PRATO. Non basta puntare il dito sui cinesi e sul “distretto parallelo”. L’economia “dei pratesi” e quella “dei cinesi” sono interconnesse: siamo tutti responsabili. Questo il senso di una nota diffusa oggi, 16 dicembre, dall’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Prato, all’indomani dell’ennesima aggressione, quella ai manifestanti davanti al ristorante La Scintilla di via Galcianese.
«I fatti di violenza che si stanno ripetendo nel distretto pratese non sono un incidente di percorso – si legge nella nota – ma la manifestazione di una patologia endemica che affligge il sistema produttivo di Prato: la diffusione del “cattivo lavoro”. Questo sistema, nutrito da fenomeni di illegalità economica e pesante sfruttamento lavorativo, che ha avuto il suo momento più tragico nel rogo del Teresa Moda nel 2013, sembra incapace di evolvere se non in modo debole e contraddittorio. L’Ufficio di Pastorale Sociale e del Lavoro della diocesi di Prato da anni si interpella sul tema e, su di esso, sta cercando di offrire una piattaforma di elaborazione chiara, capace di orientare tutti verso una riflessione comune. Per superare questa crisi morale e sociale, è indispensabile che la città e le sue componenti collettive (parti sociali, partiti politici) assumano una nuova prospettiva. La narrazione che confina lo sfruttamento solo nel cosiddetto “distretto parallelo” cinese e che assolve gli attori locali delegando ogni responsabilità a “Roma” si rivela parziale e fallace, poiché ignora l'evidente e intensa interconnessione fra l'economia “dei pratesi” e quella “dei cinesi”, che rende l'intera città interpellata e corresponsabile; per questo, se l'azione per la legalità è fondamentale, essa non può essere l'unica via, ma è necessario integrarla con una visione di sistema che affronti il problema della mancata integrazione e che promuova un dialogo autentico e costante con il mondo cinese, orientato alla giustizia sociale e ai diritti del lavoro. Solo così la nostra comunità potrà adempiere al dovere morale di liberarsi da un modello economico che ne mina il futuro civile, impegnandosi, attraverso il percorso della conoscenza, della discussione e della deliberazione, per costruire nuove sinergie che mettano al centro la dignità del lavoro e la giustizia sociale. Proprio sulla base di queste riflessioni, dopo i fatti dell’autunno del 2024, una commissione nata in seno all’Ufficio di Pastorale sociale si è impegnata a trattare in maniera ampia e sistemica le complesse tematiche dell'illegalità economica, dello sfruttamento lavorativo e della mancata integrazione. L’obiettivo è duplice: da una parte offrire alla Chiesa e alla città uno strumento di analisi profondo e condiviso; dall’altra permettere l'avvio di un processo di riflessione, discussione e deliberazione capace di superare le narrazioni parziali (come quella che confina lo sfruttamento solo al “distretto parallelo”) e di costruire nuove sinergie. Questo sforzo mira a mettere al centro la dignità del lavoro e la giustizia sociale, liberando la comunità da un modello economico che ne mina il futuro civile e promuovendo un dialogo autentico e orientato alla giustizia, anche con il mondo cinese. Di fronte al perpetuarsi di tali situazioni, infatti, non possiamo continuare con la sola solidarietà, ma serve una vera e propria ricostituzione del modello produttivo».
