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Lo chef Tomei: «Cari pratesi, riscoprite la Bozza e fatevi contaminare da chi passa»

di Alessandro Pattume
Lo chef Tomei: «Cari pratesi, riscoprite la Bozza e fatevi contaminare da chi passa»

Parla lo chef Tomei, ospite d’onore de “La Toscana in bocca”

07 giugno 2024
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PRATO. Lo chef Cristiano Tomei sarà l’ospite speciale de “La Toscana in bocca”, la due giorni dedicata all’enogastronomia pratese in partenza stasera al Castello dell’Imperatore.

Istrionico nei modi quanto geniale in cucina, fresco vincitore del “Piatto dell’anno” agli Award del Gusto e apprezzato volto televisivo, chef Tomei è alla guida del ristorante “L’imbuto” e viene considerato da più parti come uno dei vertici della cucina creativa italiana. Lo raggiungiamo al telefono mentre è in viaggio verso Roma al termine di una lunga giornata lavorativa e mentre è alla guida, «mi piace guidare da solo» confessa, ci racconta anche la sua personale idea di cucina, che mescola emozioni, identità territoriale e natura.

Tomei, cosa racconterà ai partecipanti di La Toscana in bocca?

«Non andrò a Prato per fare una lezione, parlerò della mia idea di gusto e di cucina. Per me cucinare è un atto culturale altissimo: basti pensare che il linguaggio si è sviluppato proprio per scambiarsi informazioni su dove reperire il cibo e che il nostro paese è l’unico in cui parliamo di cibo mentre si mangia. Peschiamo insomma da un bacino culturale immenso, millenario. E anche Prato è una scelta azzeccata per parlare di cibo e di cucina: è sempre stata un crocevia di genti, di mercanti. È vero che è sempre stata all’ombra di Firenze ma ha saputo mantenere una propria identità e lo ha fatto anche in cucina».

In che modo?

«Basta chiedersi cos’è il cibo: è la testimonianza delle contaminazioni e dell’inclusività proprie di un luogo. Per questo dico che bisogna parlare di territorialità. Significa considerare proprio le influenze lasciate da chi è passato da quel luogo nel corso del tempo. Il sedano ripieno, per esempio, lo si trova solo a Prato ma non esisterebbe se non fosse arrivato il pomodoro dal Perù. È un monumento da preservare. Un altro caso di contaminazione è il Vermuth. A Prato si fa il Vermuth, che invece si pensa venga fatto solo in Piemonte. Ma Vermuth è una parola tedesca, significa artemisia. La Bozza di Prato invece non la conosce nessuno: forse i pratesi non la comprano più, preferiscono andare al supermercato e comprare quel pane che si affloscia dopo poche ore. C’è bisogno di consapevolezza: bisogna parlare di territorialità e difenderla con le unghie e con i denti tutti quanti. È una rivoluzione che si fa a piccoli passi, nel quotidiano, giorno dopo giorno».

Lei ripete spesso che la cucina è soprattutto condivisione.

«La mia è una categoria al tempo stesso sfigata e privilegiata. Chi fa una cucina personale condivide la propria vita, le proprie emozioni. Nei miei piatti c’è di tutto, raccontano i viaggi e l’amore, oppure la morte o il sesso. E da quando sono diventato padre cucino meglio, i figli sono una benzina verde nel mio motore. L’altro giorno avevo queste cassette di carote appena raccolte e alla fine è venuta fuori una pasta ripiena con carote e pinoli. Erano carote ma per me era la sensazione di una passeggiata sul lungomare di Viareggio. Quando riesci a mettere in pratica quest’esercizio, secondo me sei una persona che ha capito la cucina. Quando un cuoco invece si mette a fare disegni, è la fine».

Senza dimenticare la natura, un altro suo pallino.

«Perché è la natura che detta tutto in cucina. È normale parlare di erbe spontanee o di stagionalità, è la natura che dà i tempi. Nelle galee romane c’era quello che batteva il tempo ai vogatori. In cucina quella che batte il tempo è sempre la natura. Anche se noi continuiamo a trattarla male».  

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