Il commento
Monte Serra, nuove accuse verso il presunto piromane: zampironi come inneschi
La Procura di Pisa contesta al volontario di aver preso il materiale nella sede del Gva di Calci prima di incendiarlo nel bosco. E c'è il terzo no alla scercerazione
PISA. Per la terza volta Giacomo Franceschi, il presunto piromane del Monte Serra, riceve un rifiuto alla richiesta di uscire da una cella del Don Bosco. Dopo il primo no del gip Donato D’Auria e il secondo del Tribunale del Riesame depositato il 14 gennaio, ora è arrivato il terzo rigetto sempre a firma del giudice delle indagini preliminari. A questo punto non resta che la Cassazione per il legale del presunto piromane del Monte Serra, l’avvocato Mario De Giorgio.
Franceschi resta in carcere dove si trova dalla sera del 18 dicembre. A incidere sul diniego ai domiciliari anche una non superata condizione di malessere psicofisico già segnalato al momento dell’interrogatorio di convalida del fermo. Una situazione che fa venir meno il rischio di reiterazione del reato nel caso in cui fossero concessi i domiciliari anche in un luogo diverso dall’abitazione dove il 37enne vive con i genitori a Calci.
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Il terzo no alla scarcerazione non è l’unica novità di una storia in cui la natura ha già pagato un prezzo altissimo con la distruzione di 1.500 ettari tra boschi e oliveti oltre a una dozzina di case per un danno di circa 15 milioni di euro. Oltre a nuovi elementi d’accusa si profila anche un possibile fronte medico per affrontare detenzione e futuro giudizio dell’indagato per incendio doloso boschivo e disastro ambientale.
La Procura - procuratore capo Alessandro Crini e sostituto Flavia Alemi - contesta e dettaglia a Franceschi un comportamento mai emerso finora e che è stato illustrato davanti al Riesame. Il volontario del Gva di Calci avrebbe utilizzato come innesco per il rogo alcuni zampironi presi nella sede del Gruppo volontari antincendio di cui lui (con altri 11 che hanno negato di aver preso gli zampironi) aveva le chiavi. Nella fascia oraria precedente le 22, ora in cui è partito l’incendio con una visibilità non più trascurabile, c’è un buco nero di una mezz’ora in cui per l’accusa Franceschi non dà spiegazioni certe su dove si trovasse. La cronologia di Google Maps ricavata dal cellulare del volontario non è precisa al metro, anche se colloca il 37enne in un’area compatibile prima con l’ingresso nella sede della Gva per prendere gli zampironi e poi nel bosco da cui tutto è partito.
Nel suo racconto, secondo la Procura, c’era una sostanziale ammissione del fatto. Il volontario sosteneva l’origine colposa dell’episodio avvenuto la sera del 24 settembre. A verbale aveva fatto mettere di essere stato vittima di un attacco di panico e di aver dato fuoco ai fili della tuta e a uno scontrino che aveva in tasca lasciandolo nel bosco. Poi il ritorno a casa e la visione di una fiammella, come un fanale acceso nel buio.
Quando entrò nella caserma dei carabinieri come persona informata sui fatti e uscì in stato di fermo di indiziato di delitto, Franceschi, stando all’accusa, fece un passo falso.
Aveva detto di non essere mai stato nel bosco da cui era nato l’incendio. Allora gli investigatori gli presero il cellulare, con il suo consenso, e utilizzando l’applicazione Google Maps andarono a ritroso nella cronologia per ricostruire la posizione del telefonino e quindi del suo possessore.
La sera del 24 all’ora delle prime fiamme, Franceschi era nella zona. Una prima smentita alla dichiarazione che lui non era in quel posto, poi corretta dicendo che era andato per controllare alberi e rami a rischio per il forte vento.
E nei prossimi giorni Franceschi sarà visitato in carcere dal professor Pietro Pietrini, psichiatra e neuroscienziato, già consulente di parte nei processi Franzoni bis e Veronica Panarello, la mamma che uccise il figlio Loris in provincia di Ragusa. L’incarico potrebbe essere propedeutico a un cambio di strategia difensiva con l’introduzione di una possibile tesi di semi o totale infermità mentale al momento del fatto.