Il Tirreno

Lavoro

Piombino, dramma Magona: niente salari per 500 lavoratori e nessuna data certa. Dove nasce la crisi e i possibili scenari

di Manolo Morandini

	Magona: un momento dell'assemblea
Magona: un momento dell'assemblea

La multinazionale aggira l’ultimatum dato dal Ministero. Nuovo round a Roma il 16 settembre: la vendita non decolla

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PIOMBINO. A Roma, il pomeriggio del 10 settembre, si lasciano con l’attesa di una risposta. La domanda è del ministero delle Imprese e del Made in Italy al direttore Liberty Magona Lino Iallorenzi e al Ceo del Gruppo Ozcan Tocker.

Ieri, giovedì 11 settembre, avrebbero dovuto indicare una data «certa e ravvicinata», per usare le parole pronunciate al tavolo riferite dai sindacalisti presenti, per il pagamento delle spettanze dei lavoratori diretti e interinali. Ma quanto comunicato da Liberty Steel marca ancor di più le distanze. Si chiede una cosa e si risponde: entro la fine del mese. Insomma, l’agenda vuole dettarla il gruppo anglo-indiano di Sanjeev Gupta.

L’assemblea

È in questo mare scuro e denso di incertezze che si trovano immersi i lavoratori di Liberty Magona. La vertenza è complicatissima. Nel pomeriggio i sindacati li radunano in assemblea.

Nel piazzale della portineria lato via di Portovecchio rabbia e smarrimento sono stampati sui volti. I 401 addetti diretti avrebbero dovuto riscuotere il salario il 10 settembre. La scadenza per i 75 interinali in forza nella fabbrica è il 15 settembre. Qui ad agosto si è lavorato un giorno e mezzo. Lo stabilimento è paralizzato.

La crisi

Liberty Magona è stata come risucchiata dal gorgo della crisi seguita alla mancanza di liquidità dopo il fallimento di Greensill, la banca di riferimento del gruppo. Nel 2024 il volume di produzione si è attestato a circa il 40 per cento dell’anno precedente. Quest’anno si stima di chiudere avendo realizzato appena il 5 per cento di prodotti. Alla fine di giugno al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali è stato sottoscritto l’accordo per 12 mesi di Cigs: fino al 6 luglio 2026. Il rischio è di arrivarci con una fabbrica svuotata. Niente più mercato. Addio ai posti di lavoro. Un crack che si trascina da tempo.

A cascata la montagna del le difficoltà si sta scaricando sulla catena dei fornitori, spedizioni, trasporti, pulizie tanto per fare degli esempi. Si stima che siano almeno altri 200 i posti di lavoro che ballano. Ma la dimensione reale sfugge in un territorio stremato dalle crisi del comparto siderurgico.

La certezza

L’unica certezza è che lo stabilimento deve passare di mano quanto prima. Ma qual è la priorità del Gruppo Liberty? Gli sguardi s’incrociano. Non ci sono risposte chiare. Il 16 settembre quando si aggiornerà il tavolo, sospeso il 10, si prende la decisione di presentarsi a Roma. Di portare sotto le finestre del ministero le voci dei lavoratori di una fabbrica che vive il paradosso di saltare non per mancanza di mercato, ma per i riflessi di una crisi finanziaria. Gli ordini ci sarebbero stati, ma non ci sono le risorse per acquistare i coils necessari a far marciare le linee. Per troppi mesi si è andati avanti con clienti che si sono fatti carico di anticiparne l’acquisto con l’unico effetto di erodere i margini di guadagno. «Costi dell’energia e del gas non c’entrano, gli stabilimenti del Nord Italia stanno marciando a pieno ritmo», si sottolinea. «Qui manca una strategia industriale».

L’agenda

Tornando all’agenda, oltre al 16, c’è anche il 30 di settembre che è cerchiato di rosso. È la scadenza dell’offerta per l’acquisto di Magona formalizzata dal gruppo svizzero Trasteel, realtà industriale del settore siderurgico. Una prospettiva che rassicura i sindacati, preoccupati per un eventuale ingresso di soggetti puramente finanziari. Si dice che non si è ancora spento l’interesse del fondo d’investimento Mutares AG. Ma i sindacati spingono da tempo per una chiusura rapida della trattativa con Trasteel. E così il governo. Ma sapendo che non ci sono strumenti per costringere alla vendita il gruppo anglo-indiano, che tra l’altro in questi anni sta mettendo in fila fallimenti e crisi nei suoi stabilimenti in mezza Europa. «Qui se andasse bene la vendita ci pagherebbe i debiti – dicono i sindacalisti Fim-Fiom–Uilm – , ma non ne ricaverebbe niente».

Il percorso

Il fallimento è lo scenario che nessuno vuole. Ci perderebbero i lavoratori, l’indotto come i creditori e il gruppo Liberty Steel. Il commissariamento straordinario può essere una strada, a percorrerla però deve essere la proprietà dell’azienda sebbene non siano molti i casi in cui abbia funzionato.

La soluzione sul tavolo può essere una negoziazione concordata del credito, che consente di negoziare un accordo con i creditori per evitare l’insolvenza e promuovere la continuità aziendale. Il percorso potrebbe marciare in parallelo alla produzione, con la formula dell’affitto fino al perfezionamento della compravendita.

Il gruppo svizzero Trasteel sembra avere i requisiti per prendere il timone e far arrivare i coils necessari a rimettere in marcia la fabbrica. È questa la prospettiva a cui si aggrappano i sindcati e i lavoratori.

Al tavolo romano è stato annunciato l’invio di una comunicazione formale a firma del ministro delle Imprese Adolfo Urso al Gruppo Liberty per sollecitare la chiusura della trattativa di cessione dello stabilimento, al fine di evitare atti formali e ostili a tutela dei lavoratori e dello stabilimento stesso. Quali siano però le carte che può giocare al tavolo il Governo non è dato sapere.

 

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