La nuova vita della spiaggia di Lacona all’Elba: le dune e gli alberi abbattuti per colpa del parassita killer
In fase di conclusione l’intervento anti erosione realizzato dal Parco. In pineta sono state rimosse diverse piante infettate dal blastofago
CAPOLIVERI. Ormai si avvia alla conclusione il secondo intervento di ripristino degli ambienti dunali di Lacona, a cura del Gruppo di progettazione e direzione dei lavori composto da Iris sas di M. Bacci e Nemo srl . Hanno lavorato al progetto Maurizio Bacci, Stefano Corsi, Michele Giunti e Leonardo Lombardi. Le dune sabbiose, oltre che per le specie animali e vegetali, più o meno rare, che vi vivono assumono una grande importanza per la protezione delle zone litoranee. Esse costituiscono una riserva di sabbia che possono rifornire all’arenile in occasione di grandi mareggiate e contribuiscono alla tutela delle falde dulcacquicole costiere.
«Purtroppo – spiegano Michele Giunti e Francesca Giannini per conto del Parco – tale ambiente risulta particolarmente vulnerabile alla pressione antropica, in quanto fondato su un fragile equilibrio dinamico tra fattori morfologici e climatici e negli ultimi decenni il crescente utilizzo degli arenili a scopo turistico-ricreativo insieme ai fenomeni di erosione costiera, ne hanno messo a rischio l’integrità e la funzionalità».
Lotta all’erosione
Il Parco Nazionale Arcipelago Toscano nel biennio 2016-17, grazie a finanziamenti della Commissione Europea con il progetto Resto con Life, ha realizzato una serie di interventi di ripristino per restituire “spazio” al sistema dunale, affinché lo stesso potesse espletare le proprie dinamiche evolutive. Nell’ottobre 2018 purtroppo l’area compresa tra il Mar di Sardegna, il Mar di Corsica e il Mar Ligure è stata interessata da un evento meteorologico di eccezionale portata. «L’arenile e il sistema dunale – spiegano ancora dal parco – hanno subito dei fenomeni erosivi che sono stati limitati e in parte anche evitati grazie alle opere presenti, le quali però a loro volta sono state gravemente danneggiate. Al via quindi i nuovi interventi (con un finanziamento del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) con l’obiettivo di proteggere e ripristinare la morfologia dunale, grazie all’utilizzo di tecniche di ingegneria naturalistica, che diminuiscono l’energia cinetica delle onde e favoriscono l’accumulo di sabbia a retro delle stesse, con l’accrescimento della zona antedunale».
Parassita killer dei pini
Così come le effimere piante che si trovano molto vicino al mare anche gli alberi che crescono a ridosso delle dune hanno il proprio ruolo funzionale; la pineta di pino domestico necessitava di un’attenzione particolare. È stata attaccata pesantemente da un parassita, il blastofago dei pini (Tomicus destruens). «La rapida diffusione del blastofago ha costretto quindi a intervenire su un numero maggiore di individui rispetto a quello oggetto di un normale diradamento (complessivamente 46 di cui 24 risultati attaccati) – sostengono dal Parco – Purtroppo, non restava che l’abbattimento, come unica soluzione per tentare di contenere la diffusione del coleottero. Tra questi esemplari abbattuti, ve ne erano 12 già completamente secchi; alcuni da diversi mesi, altri da 1-2 anni. Uno di questi era un pino domestico avente carattere monumentale, ben conosciuto per le notevoli dimensioni e la maestosità della chioma. Assieme a un altro paio di esemplari posti nelle vicinanze, e per adesso ancora apparentemente sani, risultano le piante attualmente più longeve del Golfo». «Tuttavia – aggiungono dal Parco – non sempre è utile procedere con la rimozione dell’intero fusto anche quando la pianta è completamente secca; infatti per motivi ecologici è ormai consolidata la pratica di rilasciare in piedi i fusti secchi poiché la presenza di legno morto in grandi quantità, necromassa, favorisce molte specie di insetti (non dannosi), ma anche vertebrati come uccelli e piccoli mammiferi, che utilizzano questa risorsa per svolgere alcune fasi del proprio ciclo biologico. Così al Pinone è stata rimossa la chioma e le principali ramificazioni che potevano essere pericolose ed adesso il fusto testimonia non solo la sua storia, che si intreccia con quella di chi ha vissuto e vive in questo luogo, ma anche l’utilità ecologica del rilascio di grandi esemplari morti in piedi all’interno degli ambienti naturali».
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