Il Tirreno

Ambiente

Carrara, marmettola infiltrata nelle falde: «Introvabile la cava che inquina»

di Giovanna Mezzana
Il fiume Carrione all’altezza di Grazzano con acqua piuttosto torbida (Foto d’archivio)
Il fiume Carrione all’altezza di Grazzano con acqua piuttosto torbida (Foto d’archivio)

Arrivano i primi risultati di uno studio condotto da Arpat e Università di Firenze. Dal 2019 a oggi si sono prelevati dati: al centro la torbidità dell’acqua dei fiumi

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CARRARA. Prelievi frequenti di campioni d’acqua e studi approfonditi, pragmatismo e intenzionalità non bastano per ricostruire i misteriosi “viaggi” della marmettola. Parliamo di quei percorsi sconosciuti alle mappe geografiche e all’occhio umano lungo i quali capita che il residuo fangoso della lavorazione del marmo si ritrovi – infiltrato – nelle falde acquifere e nelle sorgenti carsiche. «Bisogna sapere da dove arriva», ha sempre sostenuto chi ha un animo (anche minimamente) ambientalista, puntando il dito lassù. A monte. Alle cave. Mettetevi il cuore in pace.

Il re è nudo

Ricercatori del dipartimento di Scienze della terra dell’Università di Firenze hanno capito che il rebus non si risolve: «È scientificamente impossibile risalire alla cava (specifica) dalla quale arriva la marmettola – spiegano dall’Arpat riportando il parere del team di esperti – Al massimo si può individuare il bacino estrattivo di provenienza».

Lo studio

È questa una delle consapevolezze a cui è giunto un gruppo di ricercatori dell’ateneo fiorentino che negli ultimi due anni – lavorando in tandem con l’Arpat e in virtù di un accordo con l’Agenzia regionale – ha svolto indagini sul campo e in laboratorio per definire le modalità con cui le polveri di marmo prodotte dalle attività estrattive del Distretto apuano (non solo Carrara, dunque) si trasmettono nel sottosuolo fino a provocare un impatto sulle falde acquifere e sulle sorgenti carsiche.

Sul campo

I dati sono stati raccolti dall’Arpat: dal 2019 fino ad oggi. Non è un’eccezionalità, è continua l’attività di monitoraggio dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, l’aspetto innovativo risiede nel lavoro fianco-a-fianco con i ricercatori. Si è utilizzata la rete di monitoraggio sulle sorgenti carsiche apuane. Significa che i prelievi per Carrara sono stati fatti alle Sorgenti Torano/Carbonera, nel fosso di Torano, nel bacino del Carrione; e alla stazione della Pesa di Miseglia, nel torrente Carrione. Per Massa: alla Sorgente Cartaro Grande, nel fiume Frigido; ma anche a Forno e Canevara. E per la Lunigiana alle Grotte di Equi nel torrente del Lucido. Si sono rilevati: il livello dell’acqua, la torbidità, la temperatura...Sono stati anche analizzati i dati relativi ai volumi estratti dalle cave per individuare possibili relazioni tra attività estrattiva ed intorbidimento delle falde acquifere. E dall’analisi e dall’elaborazione dei dati sono emersi risultati inaspettati – almeno per il senso comune – che smentiscono credenze diffuse.

Non c’è causa-effetto

Per esempio: nel caso in cui si è riscontrato nelle sorgenti monitorate un intorpidimento dell’acqua «elevato e duraturo» ci si è resi conto che esso «non sembrerebbe facilmente correlabile – spiega una nota dell’Arpat – né con gli eventi meteo, né con l’idrodinamica delle sorgenti né con i volumi di marmo estratti»; tradotto, non ci sarebbe un rapporto di causa ed effetto tra l’acqua torbida di un tratto del Carrione, per esempio, la pioggia intensa, la portata d’acqua della sorgente e l’intensità del lavoro in cava.

Piccolo non è bello

Ed ecco che lo studio cancellata un’altra falsa credenza: «Una cava può estrarre una grande quantità di marmo senza impattare in modo importante – spiega Arpat – mentre una cava più piccola può inquinare maggiormente; allo stesso tempo, maggiori o minori impatti possono dipendere anche dalla tipologia di marmo estratto. Emerge quindi una forte indeterminatezza dovuta in primo luogo all’attività estrattiva stessa».

Il meteo

E ancora: la pioggia prolungata non incrementa l’intorpidimento delle acque: se piove a lungo, l’intorbidimento tende a diminuire, le falde acquifere tendono a pulirsi: è come se il “sistema” avesse capacità di auto-ripristinarsi. Le piogge di inizio autunno, invece, che arrivano dopo un periodo di assenza di precipitazioni, provocano fenomeni di torbidità più intensi: è come se movimentassero il materiale che si è accumulato nelle fasi di magra.

Intercettare

Sul fronte marmettola, dicevamo, si è fatto un lavoro specifico: con i campioni della fanghiglia alla mano si è cercato di capire quale varietà di marmo fosse presente nei campioni stessi per caratterizzarne la provenienza, concludendo quanto si è detto poc’anzi. Che è però un punto di partenza, non di arrivo. Non si può sapere la cava ma sarebbe già qualcosa individuare il bacino estrattivo di provenienza della marmettola, concordano gli esperti. Tant’è che L’Agenzia regionale ha intenzione di prorogare l’accordo di ricerca con il Dipartimento di Scienze della terra dell’Università di Firenze, che scadrà ad ottobre, «proprio per approfondire questo filone di indagine – si legge in una nota dell’Arpat – con l’obiettivo di riuscire a stabilire, se non la cava, almeno il bacino di provenienza della marmettola». L’importanza e la valenza scientifica della ricerca hanno fatto sì che venisse presentata al congresso congiunto della Società italiana di mineralogia e petrologia e della Società geologica italiana, che si svolge in questi giorni a Padova: geo-scienziati di tutto il mondo si confrontano sui cambiamenti climatici.
 

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