Bimbo caduto dalle Mura di Lucca, i genitori in aula: «Dopo cinque anni siamo ancora sotto choc, per lui un trauma psicologico»
Processo iniziato ieri al giudice di pace con l’audizione dei genitori del bimbo dovrà concludersi con la sentenza entro fine 2025 per evitare l’estinzione del reato
LUCCA. Cinque anni e 10 mesi dopo l’incidente avvenuto nella zona della cannoniera del baluardo San Regolo con due turisti francesi residenti a Dubai precipitati dalle Mura – un bimbo di 5 anni che si procurò lesioni giudicate guaribili in 40 giorni e il padre che, in soccorso del figlio piombato giù con la bicicletta, si gettò per salvarlo procurandosi una serie di fratture – si svolge davanti al giudice di pace Armando Breschi la prima udienza di una vicenda che all’epoca infiammò la città e suscitò un vespaio di polemiche. L’allora maggioranza non ebbe il coraggio di riaffermare un principio sacrosanto – nonostante svariate sentenze civili sulla materia che davano sempre torto ai privati, come nell’ultimo caso datato ottobre 2023 quando la sezione civile della Corte d’Appello di Firenze diede torto a una turista tedesca che nel 2014 cadde da 10 metri d’altezza nella zona del baluardo S. Croce che pretendeva di ottenere un indennizzo di 290mila euro all’Opera delle Mura – preferendo liquidare la questione sicurezza applicata alla Mura sistemando delle obbrobriose reti metalliche che la Soprintendente Acordon in un’intervista a Il Tirreno ebbe a definire «oscene».
Maledetto tempo
Un processo, quello di fronte al giudice di pace, che rischia di chiudersi con un nulla di fatto. Perché sulla vicenda incombe l’istituto giuridico della prescrizione. Vale a dire l’estinzione del reato a seguito del trascorrere di un determinato periodo di tempo. Che nel caso del reato contestato ai tre imputati – lesioni colpose semplici che il codice punisce con una multa di 600 euro – cessa entro la fine del 2025. Ma al di là dell’eventuale condanna penale, un giudizio di colpevolezza sarebbe usato in sede civile per il risarcimento. Ora, considerando che il processo iniziato ieri mattina è stato rinviato al 20 novembre per sentire altri testimoni (sono sei quelli citati dal pm onorario Francesco Carlesi e ne verranno ascoltati un paio perché l’udienza non durerà più di tre ore) e che esauriti i testi dell’accusa ci saranno le audizioni di quelli della difesa, arringhe, requisitorie, ed eventuali repliche, riuscire a portare a termine il processo nel primo grado di giudizio sarà già un’impresa titanica. Se a questa considerazione elementare si sommano la più che certa ipotesi dell’eventuale Appello ecco che si capisce l’inutilità di un procedimento penale quando la strada percorribile – difficile dire con quale esito visti i precedenti – sarebbe stata quella di una richiesta di risarcimento del danno in sede civile.
Incongruenze
Se al momento non è stata quantificata una richiesta risarcitoria dalla parte offesa sono emerse – durante l’audizione dell’ingegner Pierre Alexis Magnin, il padre del bimbo precipitato e anch’esso rimasto ferito nel tentativo di soccorrere il figlio, e della moglie Caroline Assier – una serie di incongruenze. Il padre del bambino sostiene che non aveva elementi per credere che le Mura fossero così alte. «Quando siamo saliti sopra la pendenza era dolce simile a un declivio». Al di là della presenza dei cartelli di pericolo disseminati lungo il percorso, il gruppo di turisti, prima dell’incidente, era passato dal carcere di San Giorgio, davanti a Porta S. Anna e nella zona del Caffé delle Mura e di San Colombano. Impossibile quindi non rendersi conto dell’altezza superiore in certi tratti ai 10 metri. Altra incongruenza è la presenza di un altro bambino in bici assieme al figlio di Pierre e Caroline Magnin come ha sostenuto in aula la madre in lingua francese: “Quella del mio bimbo non era l’unica bici che percorreva il parapetto”. Nel rapporto dei vigili non c’è traccia di un altro bambino e il noleggiatore, dipendente di Cicli Bizzarri, sostiene di aver fornito quel giorno a quell’uomo la bicicletta solo a quel ragazzino.
