Medio Oriente
Da Livorno al Kenya, 650 chilometri in bici nella Savana: la sfida dell’imprenditore dei viaggi
Antonio Simoncini, amministratore di Newtaurus, è tornato dal Kenya: «Era il mio sogno, una corsa alla scoperta di sé stessi che mi ha cambiato»
LIVORNO In gravel nella savana del Kenya: una sfida alla ricerca di se stessi e delle capacità di leadership, affrontando due gare difficilissime, dove lo sport è solo un lato della medaglia e l’altro, più importante, è la resistenza e la forza mentale: la Safari Gravel Race e la Migration Gravel Race.
La Migration Gravel Race è una durissima gara a due ruote tra savana e fiumi nel cuore dell’Africa: Antonio Simoncini, 63 anni, amministratore delegato della Newtaurusviaggi, racconta la sua esperienza e le lezioni che ne ha ricavato: «Una prova non solo fisica ma anche psicologica: insegna la resilienza e il pensiero strategico».
La preparazione
La preparazione ha richiesto diversi mesi. Antonio si è allenato a tappe forzate, 15-20 ore a settimana, con lunghe corse, allenamenti specifici sulla forza, adattamento all’altitudine e un’alimentazione molto disciplinata. «La Migration Gravel Race non è una gara da prendere alla leggera: ogni tappa è intensa e il recupero è importante quanto la prestazione», racconta alla fine della sua esperienza.
15 maratone nella Savana
Antonio Simoncini è il Ceo di Newtaurusviaggi, fanatico della bicicletta e pronto alle sfide a due ruote come la Migration Gravel Race, quella che si presenta come la “più selvaggia gravel race al mondo”: quattro tappe nella savana del Kenya, 650 chilometri – oltre 15 maratone – e 8mila metri di dislivello, attraverso la regione del Masai Mara.
Un’esperienza che non si può certo improvvisare: «Era nella mia lista dei desideri da un po’ di tempo. È una delle corse a tappe su ghiaia più remote, belle e fisicamente impegnative del mondo – racconta Simoncini –, e unisce avventura, competizione ed esperienza culturale come pochi altri eventi riescono a fare. Per una persona come me che ama il ciclismo e testare i miei limiti, il Kenya sembrava l’ultima sfida».
Tour mondiale
Antonio non è nuovo a queste sfide dei fanatici a due ruote: partecipa regolarmente a gare in Europa e di recente ho aggiunto l’Africa alla lista con eventi endurance come la Sahara Gravel Race dopo la Santa Val in Spagna e molte altre corse gravel in Italia ed in Europa. Non da ultimo l’appuntamento sabato prossimo al Campionato mondiale gravel in Olanda, continuamente alla ricerca di gare che richiedano uno sforzo sia fisico che mentale. In questa prospettiva, le gravel race sono diventate una passione: “Sono crude, imprevedibili e oneste”.
Emozione Masai
La Migration Gravel Race ha messo a dura prova la resistenza fisica e psichica del manager: «È stata più dura di quanto mi aspettassi: fisicamente brutale, ma anche emotivamente gratificante. Attraversare il Masai Mara, percorrere strade di terra rossa, incontrare giraffe e zebre è qualcosa che non dimenticherò mai. Ogni giorno era un mix di stanchezza e stupore. Il terreno, l’altitudine, il caldo: tutto richiedeva la massima attenzione».
Corsa contro se stessi
Le gravel race, per loro natura, sono una sfida non sol dal punto di vista fisico: «Quando hai esaurito le energie e hai ancora una trentina di chilometri di sabbia e pietre davanti a te, è tutta una questione mentale – racconta Simoncini –. Ho suddiviso le tappe in punti di controllo mentali: alimentazione adeguata, respirazione, ricerca del ritmo. E onestamente, il cameratismo tra i corridori ha aiutato molto. Non si è mai veramente soli là fuori».
Gli insegnamenti per la vita
Cosa ha portato a casa da questa sfida ai limiti della resistenza? «La prospettiva – risponde l’imprenditore livornese –. Mi ha ricordato che il disagio e la fatica sono temporanei, mentre la crescita è permanente. Non servono condizioni perfette, serve impegnarsi. Sono tornato con un apprezzamento più profondo per la semplicità, per la natura e per il potere della condivisione di passioni e obiettivi con altri. È una gara, ma è anche un viaggio alla scoperta di se stessi», testimonia Antonio Simoncini al rientro a casa e in azienda.
Il ritorno al lavoro
Un’esperienza sportiva personale che si trasforma anche in un momento di crescita a livello professionale: «Le corse in bici mi stimolano come poche cose al mondo – sorride Simoncini –. Essendo una persona con la responsabilità di prendere decisioni ogni giorno, trovo che sollecitare i miei limiti con la bici mi aiuti a restare all’erta mentalmente e fisicamente con i piedi per terra. È anche il momento in cui ragiono più chiaramente, senza telefono, senza distrazioni, sostanzialmente solo io e la bici in mezzo alla natura».
Non è un caso, infatti, che siano sempre più i manager di prima linea, in Italia e nel mondo, che si mettono alla prova in bicicletta. È così anche per Antonio:«Gli sport di resistenza contribuiscono a sviluppare la concentrazione e l’approccio giusto per dirigere la propria azienda: insegnano la resilienza e il pensiero strategico, ma anche a mantenere la calma in condizioni di stress, quando si è sotto pressione».
«Che si tratti di una gara in solitario di 300 km o una tappa faticosissima in Kenya – conclude Antonio -, la resilienza, il ritmo e la mentalità strategica che occorrono per arrivare al traguardo richiamano molto da vicino quello che serve per essere in armonia con le sfide quotidiane. Costanza e perseveranza pagano». l