Il Tirreno

Livorno

Lusso e contese

Mega-yacht dell’emiro sequestrato a Livorno: vale 35 milioni e ha una spa di lusso

di Stefano Taglione

	Il Quuen Mavia e l'oasi benessere sullo yacht
Il Quuen Mavia e l'oasi benessere sullo yacht

Il “Queen Mavia”, lungo 62 metri e in riparazione ai Cantieri Benetti, è stato sequestrato dopo un incidente in porto: all’interno spa, jacuzzi con acqua di mare, palestra e arredi in onice e marmo

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LIVORNO. Un mega-yacht di un emiro messo sotto sequestro. Si trova in riparazione ai Cantieri Benetti di Porta a Mare ed è il “Queen Mavia”, gioiello di 62 metri di lunghezza e in vendita online per la cifra “monstre” di 35 milioni di euro. La super imbarcazione, prodotta nel 2001 e rimessa praticamente a nuovo cinque anni fa, nell’agosto del 2023 è stata coinvolta in un incidente nel porto campano di Castellammare di Stabia, quando un parabordo con delle escrescenze ha urtato inavvertitamente lo scafo di un’altra barca, lo “Slipstream”, yacht di lusso di 60 metri di lunghezza che, solo per essere affittato, secondo alcuni portali specializzati costa all’incirca 400mila euro alla settimana. Da qui la disputa privatistica fra le due società proprietarie, entrambe naturalmente assicurate per eventi avversi del genere, che però al momento non ha portato a un accordo economico per il ristoro.

Il panfilo

I due yacht coinvolti nell’incidente rappresentano la categoria del lusso più estremo della marineria. Sono barche splendide, gioielli al cui interno si può trovare di tutto. Lo “Slipstream”, per esempio, può ospitare 12 persone in sei cabine ed è stato costruito in Francia nel 2009. Ha al suo interno ogni genere di comfort. Il “Queen Mavia”, quello sotto sequestro, ha simile capacità (12 ospiti in sei suite, in tutto 25 persone se includiamo i 13 membri dell’equipaggio), l’accesso diretto all’acqua e una lussuosa oasi benessere dotata di vasca idromassaggio con acqua di mare, palestra, sauna e sala massaggi. Snack bar, due moto d’acqua e arredi di altissimo pregio arricchiscono il panfilo, originariamente chiamato “Lady Christine”, e prodotto dall’azienda “Oceanco” nel cantiere navale di Alblasserdam, nei Paesi Bassi. Velocità massima di 16 nodi, 13 di crociera, ha un’autonomia di 5.100 miglia nautiche grazie ai suoi serbatoi di carburante da 151.000 litri a 12 nodi.

«La “sky lounge” – si legge sul sito web Superyachtfan.com – è rifinita in rovere sbiancato a contrasto, che crea un ambiente luminoso. Il bagno padronale è dotato di onice pachistano combinato con retro in vetro, mentre i bagni per gli ospiti sono in marmo giallo egiziano, breccia perniche e fiore di pesca. Gli interni dello yacht sono davvero lussuosi e progettati con la massima attenzione ai dettagli». L’imbarcazione batte bandiera delle Isole Marshall ed è intestato a una società riconducibile a un emiro, il settantasettenne Saeed Bin Jabr al Suwaidi, business man fondatore del gruppo “Bin Jabr” – attivo in vari settori come la produzione, l’edilizia, l’energia e la tecnologia – e il cui patrimonio stimato si aggira sul miliardo di dollari. Dal 26 aprile scorso, per alcuni interventi di manutenzione già programmati, il “Queen Mavia” si trova nel cantiere Benetti di Porta a Mare, in un piazzale fuori dall’acqua, e ci rimarrà comunque almeno per un anno, al di là che venga dissequestrato o meno dal tribunale.

La disputa

È una disputa civile (non quindi penale) quella fra i due proprietari, visto che non si è ancora raggiunta l’intesa sull’entità dei danni. Notando poi la barca in vendita online i proprietari dello “Slipstream”, a propria tutela, hanno chiesto il sequestro dell’imbarcazione. Davanti al giudice del tribunale di Torre Annunziata, competente per territorio, nelle scorse settimane si è svolta la prima udienza, mentre in settimana il magistrato dovrebbe decidere se convalidare o meno il provvedimento. Il timore della società che possiede lo “Slipstream”, infatti, è che se ipoteticamente la barca venisse venduta, poi l’azienda controllata dall’armatore (l’emiro degli Emirati Arabi Uniti) se si rifiutasse di pagare potrebbe non essere “aggredibile”, avendo sede all’estero, per ripagare i danni provocati dal parabordo. Finora non si è giunti a un accordo a causa di una divergenza sui metri quadrati danneggiati, ma non è escluso comunque che nel corso delle prossime settimane venga pattuita un’intesa e il panfilo venga conseguentemente dissequestrato.

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