Il Tirreno

Livorno

La sentenza

Operaio di Livorno morto per l’esposizione all’amianto: famiglia risarcita per 600.000 euro

di Stefano Taglione
Una veduta del vecchio Cantiere Orlando (foto d'archivio)
Una veduta del vecchio Cantiere Orlando (foto d'archivio)

L'ex dipendente del Cantiere Orlando è deceduto a 66 anni, un anno dopo l'insorgenza della malattia. Condannato il colosso Fincantieri

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LIVORNO. Nel 2015 gli è stata diagnosticata «un’eteroplasia polmonare destra, tipizzata in carcinoma polmonare con cellule squamose». Un anno più tardi, purtroppo, è morto a 66 anni. Quella malattia – secondo il tribunale – l’ha contratta al lavoro, al Cantiere Orlando. Dopo quasi dieci anni dalla tragedia Fincantieri è stata condannata in primo grado dal giudice del lavoro di Livorno a risarcire la moglie e il figlio dell’operaio livornese, assistiti dall'avvocata Antonella Faucci, per 599.510 euro fra danni patrimoniali e non patrimoniali e al pagamento di 12.296 euro di spese di lite, che con gli interessi in realtà salgono a circa 640.000 euro.

L’uomo – come si legge nel dispositivo pubblicato il 25 giugno – aveva lavorato nel Cantiere navale dal 1974 (da quando aveva 24 anni) al 2000, quando è andato in pensione. Fino al 1982 come marinaio ponteggiatore, dall’82 all’84 come carpentiere in ferro, dall’84 all’86 di nuovo come marinaio ponteggiatore e dall’87 al ‘95 in qualità di montatore impianti. La società, nel 1984, era stata rilevata da Fincantieri. In qualità di ponteggiatore «ha lavorato sia a bordo di navi che all’interno dei capannoni – recita la sentenza – sia nella fase di costruzione delle navi che in quella di riparazione. I lavoratori con la qualifica di ponteggiatore, accedevano in modo non occasionale, ma prestabilito ed organizzato, a bordo delle navi in riparazione. L’esposizione si sarebbe quindi verificata durante le attività lavorative sopra descritte. Lui aveva lavorato in precedenza in vetreria, addetto alla produzione (dal 1965 al 1967) e come tubista (periodo dal 1971 al 1974). Sia per quanto riguarda il lavoro in vetreria, che come tubista, è verosimile che abbia avuto contatto con materiali contenenti amianto. Infatti nel passato, l’industria del vetro ha fatto largo uso di materiali contenenti amianto, dalle coibentazioni dei forni a bacino ai materiali di consumo. L’industria del vetro cavo meccanico, così chiamato per distinguerlo dal vetro cavo artistico, faceva uso di tessuti per il rivestimento delle parti di macchine che avevano contatto con il manufatto appena formato, e quindi ad una temperatura tale che qualsiasi contatto con materiali conducenti il calore ne avrebbe provocato il rapi do raffreddamento e quindi la rottura. L’amianto aveva quindi la funzione di termoisolante e di conseguenza veniva interposto tra le parti metalliche e i manufatti di vetro».

«La consulenza tecnica d’ufficio – scrive la giudice Sara Maffei – le cui conclusioni devono condividersi siccome congruamente motivate e immuni da vizi logici e giuridici, ha evidenziato che l’operaio, nel corso della sua carriera lavorativa, è stato sicuramente esposto a fibre di amianto e che la patologia che lo condusse alla morte è in rapporto causale diretto con l’esposizione lavorativa a fibre di amianto subita dal lavoratore nell’esercizio continuativo delle proprie mansioni. L’ausiliario ha accertato altresì – spiega ancora la giudice nella sentenza lunga 24 pagine – che la neoplasia oggetto di causa ha avuto esito infausto concretizzandosi nel decesso dell’uomo occorso il primo novembre del 2016, a 66 anni, evidenziando pertanto la sussistenza del nesso causale tra la patologia e l’attività lavorativa svolta. Sulla base delle considerazioni spiegate risultano dunque condivisibili, poiché rispondenti ai dati fattuali acquisiti al giudizio, le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, che ha compiutamente preso posizione sulle note critiche del consulente tecnico di parte che devono, peraltro, essere inquadrate nell’ambito dei principi giuridici che regolano il nesso di causalità».

Secondo il tribunale «il fatto che l’esposizione all’amianto subita dall’operaio nel Cantiere navale abbia contribuito a dare origine alla patologia che lo ha condotto al decesso (partecipando in qualche misura alle fasi di iniziazione, promozione ed eventualmente proliferazione della malattia) non esonera quindi Fincantieri dalla sua responsabilità (solidale) per la causa dell’evento e neppure impone la presenza in giudizio dei coobbligati. In definitiva deve affermarsi che l’insorgenza della malattia che ha condotto al decesso il sessantaseienne è ascrivibile a colpa della resistente di talché va riconosciuto e liquidato il danno non patrimoniale terminale. Essendo trascorso un apprezzabile lasso di tempo tra la manifestazione della malattia e il decesso, sopravvenuto il primo novembre del 2016, è configurabile nella specie il cosiddetto danno biologico terminale, da liquidarsi come biologico temporaneo, in quanto limitato appunto al periodo di tempo intercorrente tra la lesione e la morte». Sul metodo di calcolo del risarcimento, la giudice Sara Maffei, ha preso in considerazione «l’età dell’uomo al momento della diagnosi (65 anni), la coscienza di avere davanti a quel punto, solo qualche mese o al massimo poco più di un anno di vita; le sofferenze (fisiche e morali) conseguenti alla progressione della malattia, ai tentativi di cura e all’avvicinarsi dell’esito infausto». Il risarcimento, essendo una sentenza del giudice del lavoro, dovrà essere corrisposto subito. 

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