Il Tirreno

Livorno

L'analisi

Livorno e il deserto delle baracchine: un quadro di Natali che merita di più

di Federico Lazzotti
Livorno e il deserto delle baracchine: un quadro di Natali che merita di più

A vent’anni dall’inaugurazione, le sei strutture siamesi firmate dall’architetto Toraldo di Francia, sono la rappresentazione plastica di un fallimento strutturale, gestionale, amministrativo e anche sociale

21 maggio 2024
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Livorno Doveva essere il salottino (meglio una veranda vista la posizione) buono della città. Il prolungamento ideale che dal mare andava verso il centro cittadino passando dal cantiere che aveva da poco cambiato padrone e prospettive, di quell’atmosfera glamour che partiva dall’Ardenza, con la Baracchina Rossa e i Casini. Toccava l’Accademia Navale, per arrivare a San Jacopo e alla Baracchina Bianca. E infine sbocciare nei dintorni dell’Acquario con l’illusione (e un po’ di presunzione) di essere catapultati tra Miami e la Costa Azzurra: palme, tamerici, legno, vetro e acciaio stagliati sul granito chiaro. Un soffio di Scirocco in una giornata fredda, come erano la fine degli anni Novanta a Livorno a livello architettonico. Un nuovo quadro di Natali che non avrebbe mai dipinto.

Al contrario, vent’anni dopo l’inaugurazione, le sei baracchine siamesi firmate dall’architetto Toraldo di Francia, sono la rappresentazione plastica di un fallimento strutturale, gestionale, amministrativo e anche sociale che speriamo finisca presto. Strutturale perché rispetto ai chioschi che insistevano in quell’area del lungomare fino ad allora, dovevano rappresentare un miglioramento netto, un commercio al dettaglio 2.0. Invece fin dall’inizio fu chiaro che i piani superiori non sarebbero stati agibili (furono interdetti poco dopo il taglio del nastro) e che il salmastro avrebbe mangiato le strutture creando infiltrazioni e muffa che hanno poi portato a nuove grane. Come se non bastasse – anche per via dei problemi di cui sopra – sono nate battaglie legali tra il concessionario (le varie amministrazioni ndr) e i gestori. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: a distanza di vent’anni, delle nove attività che avevano aperto i battenti tra il 2003 e il 2004 ne sono rimaste solo due. Nessuna di queste è un bar, attività che andava per la maggiore. Eppure ci sono state stagioni in cui per fare l’aperitivo con vista sullo scoglio della Regina e il moletto Nazario Sauro si faceva a puntate. Il locale che andava per la maggiore si chiamava “El tiburon”, dal nome di uno squalo. Ma dopo poco venne ribattezzato “Il Figuron”, per via che a Livorno ci garba dare i soprannomi a qualsiasi cosa. L’attuale amministrazione ha già abbattuto una struttura, ne restano cinque. La strada è segnata. Il futuro speriamo migliore di quello che abbiamo visto crollare via via negli ultimi vent’anni. Fino al deserto di oggi.
 

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