Cenciaiole e opifici di fine ’800: viaggio nel mondo degli stracci che a Livorno hanno fatto storia
Dall’attività di via della Torretta all’ultimo laboratorio di via del Crocino: in passato era una delle attività più fiorenti come scrisse Anna Franchi
LIVORNO La cernita degli stracci, in passato una fra le più rilevanti attività economiche di Livorno, è stata ampiamente descritta dalla giornalista e scrittrice livornese Anna Franchi in un suo articolo pubblicato nel 1903 sulla rivista milanese “Il Secolo XIX”.
Ne scaturisce una rara ed efficace testimonianza in cui la solare letizia delle giovani lavoranti, “le belle cenciaine livornesi”, che vediamo ritratte da Eugenio Cecconi in un dipinto del 1880 (conservato al Museo Civico “G. Fattori”), si contrappone ad una tetra quotidianità sempre a contatto di stracci maleodoranti delle più disparate provenienze, carichi di polvere e talora, prima di adottarne la disinfezione, pure veicolo di malattie (febbre gialla, etc.). Condizioni assai gravose che solo ai primi del '900 si cercò in qualche modo di alleviare con la Legge n. 42 del 1902 ed il relativo Regolamento (R.D. 29 gennaio 1903 n. 41) in materia di lavoro femminile e minorile facendo riferimento in tal caso all'industria cartaria (Tab. B-16) in quanto direttamente collegata alla cernita degli stracci.
Quel riferimento non è casuale. Mentre si diffondeva l'impiego della pasta di legno, per lungo tempo sono stati infatti gli stracci di origine vegetale (cotone, etc.) la materia prima essenziale nella produzione della carta. La cernita era perciò finalizzata a suddividere gli stracci di origine animale (lana) da quelli di origine vegetale. Quindi si proseguiva separando la tela bianca (più pregiata) da quella colorata e togliendo eventuali corpi estranei (bottoni, fermagli, etc.) per poi inviare alle cartiere il materiale pressato in balle di varia tipologia e qualità.
Gli stracci arrivavano a Livorno in larga parte via mare imballati nella stiva delle navi. In tal senso si può rilevare che alla fine dell'800 lo scalo labronico assorbiva dal 50 all'80% del movimento portuale nazionale nel settore degli stracci e l'industria cartaria italiana aveva perciò in Livorno una delle principale piazze di riferimento. Senza dimenticare che gli stracci erano ammessi anche all'importazione temporanea per la cernita nel territorio dello Stato. Le statistiche del primo '900 fanno emergere che la cernita impiegava a Livorno circa 700 lavoranti, quasi tutta manodopera femminile, pari all'11% della forza lavoro nell'industria locale.
Alla metà degli anni '20 del '900 risultano attivi ventisette opifici di cernita. I principali erano quelli di Enrico Grandi in via della Torretta e di Enrico Davis sugli scali del Pontino n.2, entrambi attivi dall'ultima decade dell'800 (Davis risulta nel 1927 ancora operativo). Il movimento portuale labronico degli stracci registra nel 1925 un cospicuo incremento passando dai 4.000 quintali annui (media 1919-1924) ai 36mila (media 1925-1939) con un picco di 96.658 nel 1934, mentre si mantiene ragguardevole anche l'esportazione con una media di 58mila quintali (1925-29), costantemente superiore agli sbarchi. L'importazione di stracci si è mantenuta elevata anche nel dopoguerra per poi cessare una quarantina d'anni fa. Nel frattempo è cessata pure l'attività di cernita (l'ultimo laboratorio con sede in via del Crocino impiegando 24 lavoratori ha chiuso negli anni '60). Come è stata da decenni abbandonata la tradizionale destinazione degli stracci per l'industria cartaria.
Gli stracci sono da lungo tempo assorbiti dal distretto tessile pratese (in particolare quelli di lana) dando vita tessuti con un processo di economia circolare descritto nel documentario “Stracci” realizzato nel 2021 dallo scrittore e regista Tommaso Santi.l