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Livorno premia Don Zoppi, il prete degli ultimi: «Per 50 anni al lavoro tra gli emarginati delle nostre periferie»

di Luca Balestri

	Don Luigi Zoppi mentre riceve la Canaviglia dal sindaco (foto Silvi)
Don Luigi Zoppi mentre riceve la Canaviglia dal sindaco (foto Silvi)

Il sindaco consegna la Canaviglia, onorificenza che il Comune conferisce come riconoscimento dell’attività di persone che abbiano contribuito a dare vitalità alla città: «Dedico il premio a don Bosco»

20 marzo 2024
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LIVORNO. Don Luigi Zoppi, detto don Gigi, è arrivato a Livorno nel 1976. Descritto da chi lo conosce con caratteristiche simili sia a Don Bosco che a Don Gallo, don Gigi ha sempre dimostrato di essere un prete a servizio degli ultimi. Ed è proprio per il suo impegno che ieri nella sala delle cerimonie del palazzo comunale, il sindaco Luca Salvetti lo ha premiato con la Canaviglia, onorificenza che il Comune conferisce come riconoscimento dell’attività di persone che abbiano contribuito a dare vitalità alla città, attraverso la loro virtù o dedizione. Il prete salesiano ha ricevuto il riconoscimento cittadino «per il servizio svolto in cinquant’anni spesi tra le periferie esistenziali della nostra città.
Don Zoppi ha dedicato la sua vita alle persone più emarginate, offrendo loro assistenza e nuove opportunità, sfidando i pregiudizi che le relegano ai margini della società e ispirando tante persone». «Questo premio è stato dato a me, ma è un riconoscimento al lavoro che i salesiani fanno nella città di Livorno da ormai 125 anni», ringrazia il sacerdote. «Lo dedico a Don Bosco, padre e maestro dei giovani emarginati. E anche a tutti gli operatori sociali del pubblico e del privato che con il loro impegno hanno spezzato le catene della dipendenza e hanno fatto tornare le persone a vivere con responsabilità». Alla cerimonia sono intervenuti il sindaco Luca Salvetti, il prefetto Paolo D’Attilio, il presidente del Consiglio comunale Pietro Caruso, il monsignor Paolo Razzaut don Armando Zappolini, presidente del cnca, coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Cisse Mory Guetta, un migrante aiutato in passato da don Gigi.
Nato nella notte di San Lorenzo di 93 anni fa, da bambino don Gigi è chiamato anche Rino, in onore della sua mamma, che perde la vita partorendolo. Suo padre quindi si trova a crescere il figlio senza il supporto della moglie, a pane e comunismo. E proprio per la sua fede comunista, il babbo di Luigi non vede di buon occhio la volontà del figlio di farsi prete. Ironia della sorte, il babbo alla fine manda il figlio in seminario convinto dal segretario locale del partito comunista. Il seminario è l’unico modo per permettere a Luigi di studiare. Nel 1956 quindi Zoppi diventa prete. Da Pietrasanta, nel 1976 arriva a Livorno, dove tutt’oggi è attivo. Il prete quindi attraversa attivamente la storia recente della nostra città. E fin dal suo arrivo incarna il suo ruolo con dedizione, con gli occhi sempre rivolti ai più bisognosi. Negli anni Settanta la droga in Italia gira in abbondanza, e anche le piazze di Livorno diventano presto degli hub di spaccio. L’eroina prima, e la cocaina poi, sono il centro della vita di molti giovani. Che don Gigi fin da subito aiuta, con la creazione di una comunità nella quale, oltre a proporre valori alti e proposte di vita alternative rispetto alla via della droga, il prete tratta le persone come se fossero soggetti da aiutare, non derelitti da scartare, come gran parte della società all’epoca pensa. E quindi nella comunità che fonda il prete si cerca di dare ai ragazzi e alle ragazze un lavoro a misura d’uomo per garantire autonomia e indipendenza, e al contempo per riuscire ad affrontare le proprie fragilità attraverso una terapia di gruppo.
Alla fine degli anni Ottanta, poi, il prete fronteggia anche l’aids: l’epidemia arriva in città, e don Zoppi ancora una volta aiuta le persone che il resto della società, comprese le loro famiglie, marginalizzate. In zona Tre Ponti quindi il don apre un centro per le persone terminali, ma non lo rende un reparto palliative, ma una vera e propria casa-famiglia, dove anche la morte per la grave malattia assume una sua dignità. Emergenza dopo emergenza, dalla fine degli anni Novanta il prete affronta anche un fenomeno tutt’oggi non facilmente gestibile: l’immigrazione. Con uno spiccato spirito cristiano, don Gigi fa dell’accoglienza la sua missione: aiuta i profughi a procurarsi cibo, documenti, assistenza sociale. Ma soprattutto li aiuta a trovare una comunità. Comunità è la parola chiave che ha segnato l’operato di questo prete di strada: e a questo proposito, la comunità livornese non può che ringraziarlo. 
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