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Dispetti, offese e aggressioni: lo stalking fra i commercianti a Grosseto – La vittima: «Volevano mandarmi via»

di Pierluigi Sposato

	Una veduta del centro storico di Grosseto
Una veduta del centro storico di Grosseto

In sei sono sotto processo per le tensioni del 2022 in centro. Video proiettati in aula. La testimonianza: «Ho dovuto chiudere quel negozio, non sopportavo più di stare lì»

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GROSSETO. Piange, seduta sul banco dei testimoni. Piange anche prima che gli schermi in aula rimandino le immagini dell’aggressione di cui era rimasta vittima nel suo negozio, riprese dalle telecamere interne. Piange addirittura prima di iniziare a parlare: si fa portare dell’acqua, singhiozza, respira con difficoltà, la sua avvocata Patrizia Pagano si alza e va a tenerle la mano.

La giudice Agnieska Karpinska capisce e dispone una breve pausa. Poi - lei che è anche imputata in questo stesso procedimento con sei imputati in tutto, anche lei per stalking ma con uno sfondo di revenge porn - comincia a raccontare.

La testimonianza

E le sue parole - già prima di essere affiancate dalla visione del cd - fanno alzare il sipario su uno scenario di dispetti, offese, persecuzioni e violenze che si era protratto per mesi nel 2022. La location è quella del centro storico e gli imputati sono gli esercenti dei negozi, vicini tra di loro. Un inferno, secondo le sue parole. Non bastano due ore per consentire alla donna, poco più che trentenne, di raccontare e rispondere: il controesame degli avvocati difensori degli altri imputati sarà completato a febbraio, quando saranno sentiti anche i testimoni della polizia giudiziaria. «Quel negozio era il mio sogno, all’inaugurazione nel 2020 era pieno di gente che mi voleva bene. Invece mi sono sentita dire che avrei "rotto" una cosa loro, di chi era già lì. Perché? Me lo sono chiesta anche io».

Il tubo fatto sparire

Dal tubo del condizionatore installato, fatto sparire, riposizionato e di nuovo oggetto di contestazioni fino all’aggressione che aveva richiesto anche un passaggio in ospedale per le medicazioni. «Avevo sporto una denuncia contro ignoti, poi mi era stato detto che quel tubo aveva sempre dato fastidio al vicinato. Mi era stato detto chiaramente anche da una dei due commercianti che un giorno erano entrati nel negozio: "ci devi mettere un vaso"». E poi la confessione ricevuta: «"Siamo stati noi a distruggere tutto", mi dissero». In mezzo ci furono tanti episodi, anche quotidiani, di molestie, piccole o grandi. «Avevano un atteggiamento da snob, come se io fossi zero e loro mille. Mi dicevano che mi avrebbero distrutto, che non mi volevano lì, che io ero una forestiera. E io non capisco ancora oggi: avevo preso un fondo sfitto, avevo dato nuova luce a quel tratto di strada. E invece mi offendevano tutti i giorni».

Aggressioni fisiche

La commerciante aggiunge di aver ricevuto grandi delusioni anche da un collega che riteneva un amico, con il quale aveva avuto una breve relazione sentimentale, che invece aveva parlato di lei in termini volgari (è la stessa persona che la donna avrebbe reso vittima di revenge porn, mostrando foto di lui in atteggiamenti sessualmente espliciti). La giovane donna vorrebbe non ripetere le parolacce di cui era stata fatta bersaglio ma viene ammonita dalla giudice a elencare nel dettaglio tutto ciò che ricorda. Anche il gesto del tagliagola fatto da un commerciante al suo indirizzo: lo mima in aula. E l’aggressione fisica? Un pestone. Ne era stato autore un collega che era venuto a chiedere spiegazioni su una recensione negativa firmata sul web da lei. «Sono stata fortunata perché in quel momento era entrato un ragazzo che non conosco, forse si chiama Antonio, ma che io chiamo Salvatore, perché mi ha salvato la vita. Fu lui a chiamare i carabinieri». Ci fu anche una esercente che la prese per i capelli. Tutto vero? La giudice autorizza la visione in aula dei video della telecamera interna al negozio: e le immagini corrispondono alle parole risuonate poco prima in aula.

La chiusura del negozio

«Recensioni? Ne faccio tante, sono costruttive. Io invece ne ho ricevuta una offensiva e basta, mi davano della tr... è ancora lì sul web». Ci fu un ritorno di fiamma, nella notte, all’uscita dall’ospedale, davanti al negozio, con un intervento dei carabinieri: «Avevo mandato il mio compagno di allora a spegnere le luci. Vidi che lo stavano minacciando, io scesi dall’auto dimenticandomi del dolore al piede». Ci sono anche immagini delle telecamere esterne al negozio ma non si sa se saranno visionabili perché i difensori (gli avvocati Fabio Ilgrande, Massimiliano Arcioni e Roberto Vannetti) alzano un fuoco di sbarramento ipotizzando un’intercettazione ambientale abusiva: deciderà la giudice. Ma la sua vita è cambiata? chiede il viceprocuratore onorario Massimiliano Tozzi: «Sì, io non cammino più da sola, ho paura. Pensi che, quando sapevo che non avrei trovato nessuno, al parcheggio fuori dalle Mura compravo dei fazzolettini dai ragazzi di colore e mi facevo accompagnare da loro per aprire il negozio». Piange ancora, beve un sorso d’acqua, si riprende: «Ho dovuto chiudere quel negozio, non sopportavo più di stare lì; l’ho riaperto altrove ma per accordi imposti dalla casa madre adesso lavoro undici ore al giorno; prima non era così, avevo una vita». Poiché non voleva stare più da sola, aveva preso al lavoro una ragazza, «pagandola, naturalmente; per sentirmi protetta. E sono andata dallo psicologo».

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