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La sentenza

Gavorrano, quel muro non si doveva fare e ora lo conferma il Consiglio di Stato

di Michele Nannini

	Nella foto il muro realizzato a Giuncarico nella zona delle villette costruite dalla società Mare Quattro e oggetto della lunga battaglia legale intrapresa dal Comune
Nella foto il muro realizzato a Giuncarico nella zona delle villette costruite dalla società Mare Quattro e oggetto della lunga battaglia legale intrapresa dal Comune

Contro l’opera, costruita nel 2007, si mosse subito il Comune

16 maggio 2024
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GAVORRANO. Quel muro non doveva essere costruito. Lo ha confermato il Consiglio di Stato che quattro anni dopo la sentenza del Tar dà nuovamente ragione al Comune di Gavorrano. Siamo a Giuncarico nella zona delle villette costruite dalla società Mare Quattro ormai più di 15 anni fa, nel 2007, una lottizzazione che al di sotto delle abitazioni vide nascere un enorme muraglione, un vero e proprio ecomostro nel bel mezzo delle Colline Metallifere contro il quale l’amministrazione collinare ha intrapreso una lunga battaglia arrivata in questi giorni alla conclusione.

La storia

Alla guida del Comune c’era all’epoca Massimo Borghi, ancora adesso nell’assise gavorranese come consigliere di maggioranza: in quei giorni l’amministrazione prima ordinò la demolizione del muro e poi elevò una sanzione di 189mila euro nei confronti della società che però, nel frattempo, era stata dichiarata fallita dal tribunale di Grosseto, provvedimento arrivato prima della sentenza Tar del 2020 che respinse già una prima volta il ricorso dei costruttori che avevano impugnato sia la maximulta che l’obbligo di tirar giù l’ecomostro. Decisioni prese dal Comune una prima volta nel 2008 e poi ribadite anche nel 2010. A difesa della tesi dei costruttori venne dagli stessi avanzato il rischio di crollo delle palazzine retrostanti in caso di demolizione: senza quel muro insomma si sarebbe a loro avviso potuta compromettere la stabilità del terreno su cui erano realizzati gli appartamenti; l’ipotesi però fu smentita dai tecnici comunali che quindi spinsero il Comune a proseguire sulla strada della demolizione. Ci vollero dieci anni per ottenere il pronunciamento del Tar che a dicembre 2020 dichiarò legittimo il provvedimento dell’amministrazione, appellato al Consiglio di Stato che ha recentemente respinto anche questo ricorso.

L’opera

Il muraglione in cemento armato, trentaquattro metri di lunghezza e undici di altezza, è stato realizzato su un’area di proprietà della Provincia che costeggia la strada provinciale di accesso al paese di Giuncarico, opera considerata senza titolo e che già secondo il Tar andava demolita con annessa quantificazione della sanzione pecuniaria nel caso in cui il ripristino dello stato dei luoghi non fosse possibile. Anche la sanzione venne ritenuta congrua sulla base di un ulteriore procedimento di accertamento delle opere abusivamente realizzate. Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso della società sia nel metodo - la Mare Quattro infatti non aveva depositato l’istanza di fissazione dell’udienza entro un anno, come previsto dalla normativa attuale, né messo in atto ulteriori attività processuali se non ad aprile 2023 e quindi ampiamente oltre il termine - sia nel merito. È stata infatti ritenuta corretta la possibilità di sostituire da parte del Comune la sanzione demolitoria con quella pecuniaria mentre è stata respinta anche l’ipotesi di indeterminatezza dell’ordinanza che invece secondo i giudici del Consiglio di Stato (ma anche del Tar in precedenza) prevedeva regolarmente tutti gli interventi da mettere in atto (riduzione del manufatto con parziale demolizione, creazione di terrazzamenti, rivisitazione in pietra locale del resto del muro, realizzazione di interventi naturalistici).

La sentenza

Anche tutte le altre censure presentate dall’azienda su questioni tecniche, come la realizzazione della rampa e la valutazione di un’area considerata secondo i ricorrenti erroneamente a parcheggio, sono state respinte in quanto assenti pezze d’appoggio a sostegno delle tesi difensive. Tutto ciò ha così portato il Consiglio di Stato a confermare la sentenza del Tar e a condannare l’appellante a risarcire il Comune con 4 mila euro di spese.

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