Omicidio di Gavorrano, Sonia piange e nega: «Non sono io la killer, è stato Mirko a sparare»
Ore di interrogatorio in lacrime. Ma lui ribalta le accuse: «Ha ucciso lei, si è sdraiata per prendere la mira»
GAVORRANO. «È stato lui a sparare e prima ancora è stato lui a ideare la rapina. Io non c’entro niente, l’ho soltanto accompagnato al boschetto con la mia auto». È durato ore, ieri mattina, l’interrogatorio di garanzia di Sonia Santi, la donna di 33 anni di Suvereto, borgo della provincia di Livorno, rinchiusa nel carcere di Sollicciano a Firenze con l’accusa di concorso anomalo nell’omicidio di Bouazza Jarmouni e nel tentato omicidio di Rahaal Eljamouni. La donna, assistita dall’avvocato Loredana Giuggioli, ha scaricato tutta la colpa su Mirko Meozzi, il quarantacinquenne di Scarlino che è stato fermato dai carabinieri la vigilia di Ferragosto.
Erano insieme, due domeniche fa quando il venticinquenne marocchino che viveva nei boschi dove si incontrava con i clienti ai quali vendeva droga, è rimasto ucciso con un colpo di calibro 9. Pistola detenuta regolarmente dalla donna, cacciatrice e appassionata di armi, che se l’era portata dietro. «Non l’ho vista, la pistola - ha detto il principale accusato al giudice per le indagini preliminari Sergio Compagnucci - lei la teneva sotto la coscia. L’ho vista solo quando me l’ha mostrata». Si accusano a vicenda, i due amici. Un’amicizia raccontata dall’uomo al giudice durante l’udienza di convalida del fermo. Sonia Santi, un lavoro da stagionale in un supermercato di Venturina Terme e una passione per la caccia e le armi trasmessa da suo padre, aveva chiesto a Meozzi di essere accompagnata nel boschetto di Gavorrano per comprare droga. La donna non aveva soldi con sé, l’uomo aveva solo 20 euro. «Quando le ho chiesto di darmi i soldi lei ha tirato fuori la pistola - ha detto Meozzi - e me l’ha messa in mano. "Fagli paura", mi ha detto. Io non avevo mai maneggiato un’arma, è partito un colpo». Il quarantacinquenne, difeso dagli avvocati Roberto Cerboni e Francesca Fusco, si è subito assunto la responsabilità del ferimento di Eljamouni, il 19enne soccorso più tardi da un’amica chiamata dal ragazzo. Ma la morte di Bouazza, stando alle sue parole, sarebbe stata provocata dal colpo di pistola sparato dalla donna. «Mi si è sdraiata sulle gambe - ha detto - per prendere la mira e ha sparato due o tre colpi».
Meozzi accusa la donna, lei dà tutta la responsabilità all’amico. Ed Eljamouni, unico testimone di quello che è successo nel bosco, ha detto che a sparare è stato l’uomo. La sua, è la versione che è stata creduta dal giudice. Rinchiusa nel carcere di Sollicciano, ieri mattina ha pianto a lungo quando ha incontrato il suo avvocato. «È distrutta - dice il legale - Dice di essere innocente ed è chiaro che dover stare in una cella quando non si è responsabili di un reato così grave possa essere davvero difficile. Mi ha chiesto di farla tornare a casa, alla sua vita». Eppure, la trentatreenne domenica sera ha chiamato Meozzi per andare al boschetto di Gavorrano. Aveva la pistola tra le sue gambe, sul sedile del guidatore. C’era lei al volante della Fiat Punto grigia. E la pistola, secondo i carabinieri del nucleo investigativo del comando di Grosseto e di quelli della compagnia di Follonica, era la sua. Una Beretta calibro 9, detenuta regolarmente. «Sulla pistola non dico nulla, la mia cliente ha risposto al giudice - spiega l’avvocato Giuggioli - Quello è un passaggio delicato». Sarà la perizia balistica già in corso a dire se a sparare sia stata o meno la pistola della donna. La risposta a questa domanda, comunque, la Santi l’avrebbe già data. Lo avrebbe detto lei ai carabinieri e al sostituto procuratore Anna Pensabene, quando ancora non era stata raggiunta dall’ordinanza di custodia cautelare. Quando, nella sala d’attesa della Procura, parlava con la sorella senza rendersi conto di essere intercettata: scherzava sull’omicidio, con la sorella, dicendo di essere stata lei ad aver fornito al killer la materia prima. «La pistola era stata quindi consegnata volontariamente al suo complice», scrive il gip nell’ordinanza di custodia cautelare. I proiettili trovati a casa della donna sono compatibili con quelli che hanno ucciso e ferito i due ragazzi. Quando poi i carabinieri si sono presentati alla porta di casa per la perquisizione, Sonia ha chiesto a sua sorella di far sparire quella Beretta. Anche in quella circostanza, la trentatreenne non immaginava di essere intercettata. Oggi l’avvocato della donna comincerà a preparare istanza per la revoca della custodia cautelare. Cercherà, nonostante l’accusa di concorso in omicidio e tentato omicidio, entrambi con l’aggravante della premeditazione, di farla tornare a casa. L’interrogatorio di garanzia ieri si è svolto a Firenze per rogatoria: Sonia Santi potrebbe quindi chiedere di essere sentita di nuovo dal procuratore Pensabene, che coordina le indagini. Aveva appuntamento in Procura la mattina in cui è stata arrestata e portata a Sollicciano.