Il Tirreno

Grosseto

L’ultimo dono di Mario Mirri è per i giovani di Grosseto

di LUCIANA ROCCHI*
L’ultimo dono di Mario Mirri è per i giovani di Grosseto

È morto a Pisa, a 93 anni, lo storico che ha cresciuto tanti studenti maremmani Lascia i suoi preziosi volumi alla biblioteca dell’Isgrec. Il ricordo di un’allieva

20 maggio 2018
4 MINUTI DI LETTURA





Nel giardino del Dipartimento di storia dell’Ateneo pisano c’era una folla, giovedì scorso a salutare Mario Mirri. Troppo poco il tempo per i tanti che avrebbero voluto ricordarlo, a due giorni dalla sua scomparsa.

Aveva 93 anni, una vita spesa bene e con un’attività scientifica e divulgativa che si è interrotta solo a pochi giorni dalla morte, ma a nessuno sembrava che fosse arrivato il suo tempo.

Ascoltare figli e nipoti ha solo confermato i lati umani che allievi e colleghi conoscevano bene: generoso, attento, metodico, cocciuto, polemico, un uomo cui ci si poteva appoggiare ad occhi chiusi.

Ci sono motivi personali di chi scrive questo ricordo, ma anche motivi straordinariamente importanti per l’Isgrec. Prima di ogni altra, tuttavia, ci sono le ragioni di un’epoca di crisi, che ha bisogno di sapere, se vuole liberamente ma con consapevolezza interpretare il passato e guardare il futuro.

Mirri è stato uno storico modernista, ma con un occhi attentissimo sempre al tempo presente. Si dice che lo sguardo dei modernisti ha con la lunga durata una capacità superiore di interpretazione della storia recente: è chiaro nelle sue pubblicazioni.

Ha tenuto a lungo nascosta, quasi mantenendo il pudore del giovane studente di allora, la sua esperienza di partigiano, nel vicentino, col Partito d’azione. È il “Marietto” dei “Piccoli maestri” di Mario Meneghello, quello che la polizia fascista di Salò arrestò, seviziò con torture orribili, sopravvissuto solo perché liberarono Vicenza, sorprendendo tutti per quanto poco raccontava e senza lamenti di quel che aveva passato. Non si erano fidati della giovinezza di Mario i suoi compagni, avevano adottato misure d’emergenza, ma i suoi aguzzini non gli avevano cavato una parola.

Quando arrivò in Toscana, dopo la guerra, cominciò la sua storia di normalista, studioso, professore di storia all’Università di Pisa. Non ha mai smesso di esserlo. In dipartimento lo hanno visto arrivare tutti i giorni, il largo basco, la cartella di cuoio e il passo deciso, fino a quando non ha dovuto arrendersi alla sedia a rotelle.

Ha studiato l’agricoltura toscana e creato la “scuola pisana” , rivoluzionando le interpretazioni sulla mezzadria, a partire da studi settecenteschi. Oltre alle monografie pubblicate, i tanti articoli, i più sulla sua rivista d’elezione, “Società e storia”, di cui aveva l’abitudine di far rilegare e distribuire gli estratti.

Di qualsiasi tema tratti, è sempre al presente che il suo sguardo è rivolto, ma a nessuno riuscirà trovare nei suoi scritti, come non lo trovava nelle sue lezioni universitarie, il velo dell’ideologia o della militanza politica. Nemmeno quando parlava di Resistenza, quando dialogava con Claudio Pavone, stimato collega a Pisa e amico, polemizzando su quel che non condivideva delle sue opere.

Dagli archivi ha estratto storie straordinarie, in senso letterale: come quelle degli sconosciuti parroci della Toscana leopoldina, che ebbero un posto nelle sue storie superiore a quello dei ministri lorenesi.

Nessuno prima di lui ha scavato tanto sia negli archivi toscani e italiani che in quelli francesi sulla fisiocrazia e su questo ha ispirato a noi dell’Isgrec un lavoro di relazione tra i fisiocratici parigini e la Maremma, svelandoci un momento magico.

L’avevamo sentito poco più di un mese fa, non ce l’abbiamo fatta a portargli quel che gli abbiamo dedicato: una pubblicazione per ora solo tipografica, un inizio di ricerca che solo lui poteva ispirarci, e che faremo.

Un ricordo personale: noi studenti del corso di laurea in filosofia partivamo da Grosseto col treno delle cinque il lunedì: la sua lezione di storia del Risorgimento era la prima. Era l’unico, tra i pur grandi che facevano grande la Facoltà di lettere e filosofia, che avesse cura della didattica tanto quanto della scienza. I seminari del pomeriggio, la lezione interattiva: strumenti solo suoi. E quelle lezioni di storia del Risorgimento sulla fisiocrazia che non capivamo cosa diavolo c’entrasse; l’abbiamo capito poi.

Una volta, nel corso delle nostre chiacchierate in dipartimento, gli mostrai l’unico quaderno di appunti conservato intatto, perché le sue lezioni erano chiarissime e utili. Dopo una settimana m’arrivò un pacchetto di estratti, con dedica scherzosa «a un’allieva, che ricorda ancora le lezioni sulla fisiocrazia di quarant’anni fa». C’era insieme una lunga lettera, piena di riferimenti archivistici, con una proposta di ricerca suggestiva e una operativa: dieci lezioni sul 150° dell’Unità, fatte. Fu allora, nel 2009, che comunicò la sua decisione di regalare all’Isgrec, tramite la sua prima laureata, la biblioteca. Le carte andranno alla Scuola Normale, parte dei libri al dipartimento della sua università, il grosso all’Isgrec. Obiettai che dividerli avrebbe oscurato la ricostruzione del suo percorso di studio. Non gliene importava nulla, disse, era meglio farli usare, i libri, dove pensava che sarebbe stato più probabile.

Così fra un po’ arriveranno, già con la catalogazione che aveva chiesto, fatta da un giovane collaboratore dell’Isgrec, Francesco Cecchetti. Tutti i pomeriggi Francesco per qualche mese godette della conversazione del professore, una fortuna per un giovane storico. Fu anche costretto a portargli l’amico, allora assessore alla cultura del Comune di Pisa, per un confronto serrato su strategie e beni culturali.

Spero che possiamo accogliere e valorizzare degnamente un lascito, che arricchisce la nostra città.

*Storica, insegnante,

ex direttrice Isgrec

Primo piano
Lo studio

Mare in Toscana, dov'è l'acqua più pulita? Le zone migliori per fare il bagno e quelle in cui è vietato

di Martina Trivigno