Addio a Saliceti, il fotoreporter del Mondiale ’82
Scomparso a Firenze, il suo nome è legato per sempre a uno scatto che è diventato icona
FIRENZE. Se ne va in silenzio, come sapeva lavorare. Con la discrezione di chi ha raccontato mezzo secolo di sport senza mai mettersi davanti all’obiettivo. Giancarlo Saliceti, per tutti “Sabe”, è morto a 89 anni nella casa di cura di Pontassieve dove viveva lasciando in eredità una galleria di immagini che coincide con la memoria collettiva del calcio italiano. Una vita passata a rincorrere la luce giusta, l’istante perfetto, l’attimo che racconta più di mille parole.
La foto icona
Il suo nome è legato per sempre a uno scatto che è diventato icona: “l’urlo di Gentile”, quel 11 luglio 1982, al Bernabeu, l’Italia campione del mondo, Claudio Gentile che emerge dal mucchio azzurro come una statua rinascimentale, la bocca spalancata verso il cielo di Madrid. Una fotografia che gli valse il primo premio Aips e che oggi è custodita come un trofeo nel Museo del Calcio di Coverciano e all’ingresso dell’Associazione Stampa Toscana. Basta alzare gli occhi per ritrovare un pezzo di storia, di quelle che non invecchiano.
La Nazionale
Sabe era arrivato a Coverciano negli anni Settanta, quando c’erano Artemio Franchi, Fino Fini, Valcareggi. Ne aveva attraversati tanti, di campi e di generazioni, con la stessa fedeltà: quella allo scatto vero, istintivo, mai costruito. Dai Mondiali d’Argentina del ’78 fino a Usa ’94, sempre accanto agli azzurri, sempre un passo indietro rispetto al protagonista, ma sempre nel punto giusto, dove batteva il cuore dell’azione. Il cordoglio dell’Ast, dell’Ussi Toscana, della Figc racconta quanto fosse stimato anche fuori dal rettangolo verde. La sua macchina fotografica era un taccuino silenzioso che parlava al posto suo, senza clamore, senza effetti speciali, solo verità. A raccoglierne idealmente il testimone c’è il figlio Gianni, collega e fotografo, che ne ha ereditato passione e sguardo.
L’ultimo saluto
Venerdì 28 l’ultimo saluto nella chiesa di Sant’Antonino, a Bellariva. Poi resteranno le sue immagini. E ogni volta che rivedremo quell’urlo, sapremo che dietro c’era l’occhio paziente e gentile di Sabe, testimone discreto di un’epoca che oggi appare lontanissima.
