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Firenze, il fortino dem vacilla davvero: il calo di consensi in città è un caso

di Mario Neri
Firenze, il fortino dem vacilla davvero: il calo di consensi in città è un caso

Nel capoluogo il Pd precipita al 27%, travolto da astensione e scissioni. Giani trionfa ma il partito qui arretra di 8 punti rispetto alle Europee

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FIRENZE C’erano anni in cui a Firenze i democratici contavano i voti come si contano i fedeli in una processione: tanti, ordinati, devoti. Oggi il Partito democratico ne perde a centinaia ogni giorno, e non per eresia ma per disaffezione. Il risultato delle regionali è una doccia gelata: 27,76 per cento in città, quasi otto punti in meno rispetto alle europee di un anno fa (35,6). Il peggior dato in tutta la Toscana. Un simbolo più che un numero. Perché se Prato vola al 41% e l’Empolese-Valdelsa al 45, Firenze crolla sotto la soglia psicologica del 30. Qui dove tutto è cominciato - e dove il Pd è nato, cresciuto e si è logorato - si apre una voragine politica.

Nelle pieghe del voto c’è un racconto di dispersione: Casa Riformista, la lista di Matteo Renzi che però aveva il nome di Giani nel simbolo (roba forte, non secondaria), raccoglie il 15,25 per cento, cannibalizzando pezzi di elettorato moderato e renziano, ma anche zone intere del voto dem. Un fenomeno già visto: alle comunali 2024 la stessa Stefania Saccardi, allora in corsa con "Riformisti per Firenze", aveva superato il 7 per cento. A quell’elettorato si è aggiunta oggi probabilmente una parte dei voti di Cecilia Del Re, ex assessora ribelle, 6,2 per cento un anno fa. Sommati, fanno quasi esattamente il peso specifico della nuova lista gianianrenziana.

Ma non è escluso che il fu rottamatore abbia eroso elettori anche a destra, vista la Leopolda in salsa meloniana di dieci giorni fa. In parallelo, la sinistra rossoverde di Avs si stabilizza sul 17 per cento nella Piana, spinta dal sindaco di Sesto Fiorentino Lorenzo Falchi, mentre in città rimane intorno al 10, più o meno come alle europee. Insomma, il Pd si svuota al centro e a sinistra, inghiottito da un’alleanza che somiglia a un arcipelago: tante isole, pochi ponti. La sindaca Sara Funaro, che dodici mesi fa aveva raccolto il testimone di Dario Nardella con un Pd al 30 per cento e la sua lista civica al 6,16, ora guarda al risultato con una calma vigile. «Serve una riflessione e un’analisi approfondita insieme al partito cittadino - dice -. Nei prossimi giorni prenderemo decisioni e faremo scelte politiche conseguenti. Ci sono problemi in città, certo, dai cantieri alla sicurezza, ma sarebbe una semplificazione guardare a quelli. Io preferisco capire, non giudicare a caldo».

Parole misurate, ma dietro il tono prudente si intravede l’ombra di un tema più grande: un partito che in città - politicamente - non parla più al suo popolo, o lo fa in un linguaggio che non scalda. Altro che voto alla giunta. Nei risultati delle preferenze c’è perfino un segnale: Andrea Vannucci, storico amico e consigliere di Funaro, è il più votato a Firenze, superando Cristina Giachi, simbolo della stagione nardelliana. Se gli elettori avessero voluto punire la sindaca o la giunta, avrebbero avuto il rigore da tirare: non l’hanno fatto. (Nardella, nel frattempo, ha scelto il violino. In diretta radio, per festeggiare Giani: We are the Champions).

«Il fatto è che il Pd fiorentino è il Pd meno schleiniano della Toscana - c’è chi mormora al quartier generale in via Forlanini - mentre noi parlavamo di acqua pubblica, un assessore a Palazzo Vecchio rilanciava la Multiutility. Mentre noi scendevamo in piazza per Gaza, questi venivano qualche minuto per poi sparire dai cortei». E così, a sinistra del Pd, in città c’è più del 20%, fanno notare i fedelissimi di Elly: 10,4% Avs, 4% M5S, 8,6% Antonella Bundu.

Arcipelaghi che il nuovo corso ellyano altrove è riuscito ad assorbire. La destra a Firenze resta lontana dal pericolo. Fratelli d’Italia si ferma al 22 per cento, Forza Italia e Lega si riducono a comparse. Non è un voto di svolta, semmai un voto di stanchezza: la città non si affida al centrodestra, ma non si entusiasma più per il Pd. È la fine di un’egemonia sentimentale più che elettorale. La fedeltà a una tradizione politica resiste, ma si svuota di senso. Il Pd non è più il partito della speranza, solo quello della gestione.

Dunque, Elly effect? Troppo semplice. Se così fosse, il Pd non galleggerebbe al 35 per cento nel resto della Toscana, né supererebbe il 40 in province come Siena e Prato, il 44 nella Piana e nell’Empolese. No, qui la ferita è locale. Viene da lontano: dalle politiche del 2022, quando il Pd era già sceso al 30%. La vittoria di Giani, scrive l’istituto Cattaneo nella sua analisi post voto, è «in perfetta continuità con l’equilibrio toscano». A Firenze quell’equilibrio è diventato precario, un respiro corto. La roccaforte non è crollata, ma le mura scricchiolano. E nel silenzio si fa largo un sospetto: che la lunga fedeltà della città stia diventando solo abitudine.

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