Firenze, detenuta 26enne si suicida a Sollicciano: rivolta in carcere e indagini sulle condizioni
Secondo i sindacati è il 61esimo caso dall’inizio dell’anno. Torna l’emergenza nel penitenziario fiorentino, è uno dei più disastrati d’Italia. Il decesso avvenuto proprio mentre è in corso l'ispezione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura
FIRENZE All’alba Firenze si sveglia con una notizia che pesa come un macigno. Una detenuta romena di 26 anni si è impiccata col lenzuolo, fissandolo ai pilastrini del balconcino della sua cella a Sollicciano. Le poliziotte penitenziarie hanno provato a salvarla, insieme ai sanitari. Non c’è stato nulla da fare. È l’ennesimo nome che si aggiunge a una lista che non smette di allungarsi: «Sessanta suicidi in carcere dall’inizio del 2025, la quarta donna. A questi vanno aggiunti un internato in Rems e tre operatori penitenziari», scandisce Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa.
Il gesto estremo
Il gesto disperato della giovane è arrivato poche ore dopo l’incendio appiccato da alcune recluse nella sezione femminile. Il fumo ha invaso i corridoi, otto persone sono finite in ospedale: sei detenute e due agenti, tutte in codice verde per intossicazione. «Weekend da dimenticare», lo definisce Antonio Mautone della Uilpa di Firenze. Una sequenza di eventi che fotografa meglio di qualsiasi rapporto il livello di tensione e degrado in cui vive quella sezione. La procura ha aperto un fascicolo, come avviene per ogni decesso in carcere. Verranno ascoltati gli agenti di turno e le compagne di cella, mentre si attendono i risultati dell’autopsia.
Sovraffollamento e cemento che si sbriciola
Il penitenziario di Firenze ospitava 531 detenuti a ottobre scorso, trentaquattro oltre la capienza massima regolamentare di 497. Ma i sindacati parlano di numeri peggiori: «565 reclusi in 358 posti disponibili, il 158 per cento di sovraffollamento», denuncia Uilpa. «E meno di 400 agenti a fronte dei 622 necessari». Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, proprio ieri in ispezione a Sollicciano, ha trovato una struttura che cade a pezzi. «Ancora più clamoroso è che il suicidio sia avvenuto durante la visita», sottolinea Leo Beneduci, segretario nazionale dell’Osapp.
Prigione e disperazione
Chi entra a Sollicciano racconta di estati torride e inverni gelidi. I termosifoni che non funzionano, l’aria che non gira, le celle che si allagano quando piove. Nei corridoi ci sono muffe, cimici, termiti. «Un carcere nato male negli anni Ottanta, con difetti già nel Dna», ripeteva il garante dei detenuti Giuseppe Fanfani. Dentro si convive con sporcizia e umidità. Sessanta posti sono inutilizzabili per infiltrazioni. «Un sistema invivibile», dice chi ci lavora ogni giorno.
Il grido delle istituzioni locali
«L’ennesima protesta con il fuoco nel reparto femminile, quello ritenuto migliore, e adesso l’ennesimo suicidio: cosa deve accadere ancora perché lo Stato intervenga?», chiede la sindaca di Scandicci, Claudia Sereni. «Il carcere dovrebbe essere un luogo di recupero, non di estinzione della speranza». Il Comune di Firenze, con l’assessore Nicola Paulesu, parla di condizioni «disumane e prive di dignità». Chiede insieme a Sereni l’apertura di un tavolo con il ministero della Giustizia. Non una semplice visita, ma un percorso che ridia futuro a una struttura che oggi appare senza destino.
Un carcere che non rieduca
Sollicciano è anche inefficace. Un contenitore sociale dove la recidiva si alimenta, la povertà cresce, la marginalità ritorna. I volontari lo sanno bene: chi entra spesso ne esce peggio di prima. Mancano mediatori culturali, e gli stranieri sono il 64 per cento della popolazione detenuta; manca formazione per gli agenti, manca un ponte con la psichiatria.
Un urlo che non si può ignorare
Il suicidio della ventiseienne non è solo la storia di una vita spezzata a un anno dalla libertà. È la fotografia di un sistema penitenziario che non regge più. «Ogni giorno che passa la tragedia si aggrava», avverte De Fazio. Quella corda improvvisata col lenzuolo non è solo l’atto disperato di una ragazza, ma l’ennesimo urlo collettivo di un carcere che chiede di non essere lasciato a marcire.