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L’intervista

Firenze, l’appello della fondazione Caponnetto: «Si continui a indagare sulle stragi»

di Matteo Leoni
Firenze, l’appello della fondazione Caponnetto: «Si continui a indagare sulle stragi»

Il presidente Calleri: «Sono attentati che hanno richiesto il consenso di gruppi diversi»

27 novembre 2022
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FIRENZE. Nella relazione finale della Commissione antimafia si ipotizza il coinvolgimento di elementi esterni a cosa nostra nella strage dei Georgofili di Firenze. Uno scenario che viene analizzato da Salvatore Calleri, presidente della Fondazione Caponnetto.

L’eventualità del coinvolgimento di fattori esterni alla mafia nell’attentato dei Georgofili rappresenta un fronte che merita di essere approfondito?

«Assolutamente sì. È una pista che resta aperta. Quanto detto dalla sezione della Commissione antimafia è sicuramente qualcosa di molto interessante, non nuovo per gli addetti ai lavori. Che qualcuno riconosca che c’è questa strada da seguire è importante».

Nella relazione si fa riferimento addirittura a un’organizzazione terroristica parallela a cosa nostra…

«Su questo aspetto bisognerà continuare a indagare. Certo è che quando si fanno determinati attentati solitamente ci troviamo di fronte a delle convergenze tra gruppi diversi. Quello è stato un periodo molto brutto, un periodo che si può definire terroristico-mafioso. Lo dico perché ci sono state varie stragi, prima in Sicilia e poi in Italia tra cui Firenze, e non dobbiamo dimenticare che quello è stato un momento molto buio, anche di sconvolgimenti politici. Sta finendo la prima Repubblica, inizia la seconda, è un periodo complicato da un punto di vista anche strettamente politico. E quando avvengono attentati di questo tipo è difficile che sia un solo gruppo che li vuole fare. Solitamente c’è un consenso attorno a questo tipo di attentati, anche di altri gruppi».

C’è una relazione della Dia del 1994 che ipotizza proprio una convergenza operativa tra cosa nostra e altri gruppi. Si va in questa direzione?

«È proprio quello che intendevo. Si tratta di una convergenza, interazione».

Si può ipotizzare, come accade nella relazione della Commissione, che a “interagire” con cosa nostra siano stati gruppo come la falange armata o Gladio?

«Non sta a me dirlo. Tuttavia occorre indagare in ogni direzione, a 360 gradi».

Nella relazione si ricorda una testimonianza che parla di una donna con capelli a caschetto neri sul luogo della strage dei Georgofili. È possibile che l’interazione sia stata non solo a livello dei mandanti ma anche degli esecutori?

«Le convergenze possono essere sia nella fase decisionale che nella fase operativa finale, quindi da un punto di vista teorico è possibile. Tutto deve essere approfondito, ogni spunto interessante, perché siamo in un campo minato. Poi sta a chi indaga valutare, dopo aver approfondito, se si tratta di una pista che porta da qualche parte oppure no».

Nella relazione si fa un salto ulteriore. Prima si parla di una convergenza tra cosa nostra e elementi esterni, poi si parla di una “superstruttura criminale eterodiretta” che avrebbe per così dire “sigillato” certe operazioni della mafia. In altre parole i vertici della mafia avrebbero preso decisioni sentendosi coi vertici di un’altra organizzazione, ignorata anche dai livelli più bassi di cosa nostra.

«Se c’è la convergenza è ovvio che c’è qualcos’altro oltre alla convergenza, qualcuno che prendeva delle decisioni. È una logica conseguenza. Se c’è una convergenza deve esserci anche un accordo preventivo tra i gruppi. E come abbiamo detto la Dia è stata la prima a dire che c’era una convergenza. Le stragi del 1993 sono molto strane. Non dobbiamo scordarci che è il periodo storico della trattativa, e non dobbiamo dimenticarci che è il periodo della mancata strage dell’Olimpico, dove doveva saltata in aria un pullman dei carabinieri».,

Siamo quasi al trentennale della strage dei Georgofili. Possiamo fare un bilancio?

«La lotta alla mafia deve tornare a essere un tema trattato dalla politica. Oggi lo è solo a tratti, poi ce ne dimentichiamo.

Qual è la situazione del territorio toscano e fiorentino?

Il territorio toscano fiorentino purtroppo ha mostrato di non avere gli anticorpi contro la mafia. È una regione complessivamente sana ma senza anticorpi. Lo abbiamo visto nel recente caso Keu. Noi abbiamo la necessità di formare la classe dirigente italiana, europea e toscana, che non sa neppure riconoscere i mafiosi. Il caso Keu dimostra questo. Ci sono soggetti contigui a camorra e ’ndrangheta che la politica non legge, non è in grado riconoscere, e questo è un problema. E la mia domanda è, non è che qualcuno non li vuole riconoscere? Se così fosse sarebbe più grave.

Da poco è stato istituito un osservatorio sulla legalità, che vede anche la sua presenza come rappresentante della Giunta Regionale…

Questo è un dato positivo. La Toscana ha fatto nascere da poco un osservatorio sulla legalità, promosso dal consiglio regionale.

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