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La Toscana di Solomons: “Leonardo, Boccaccio, Firenze e gli occhi mobili di Monna Lisa”

Sabrina Carollo
Natasha Solomons
Natasha Solomons

La scrittrice inglese di "I Goldbaum" e"Casa Tyneford", Natasha Solomons, racconta la Toscana visitata fin da bambina: «Non avevamo soldi e dividevamo un trancio di pizza. Ci nutrivamo d’arte»

04 luglio 2022
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Il quadro più famoso di tutti i tempi; l’artista più geniale e uno dei periodi più prolifici della storia dell’arte. Sono i protagonisti di "Io, Monna Lisa", l’ultimo romanzo della scrittrice inglese Natasha Solomons, che questa volta ha deciso di conquistare i lettori dando voce a un personaggio anomalo: il dipinto di Leonardo da Vinci, la Gioconda. Un libro che corre per i secoli attraverso gli occhi mobili e affascinanti della figura incorniciata ma che, come avviene nelle grandi narrazioni, in realtà affronta vita, morte, amore, indagando sentimenti e condizioni immortali. L’autrice ci racconta perché ha scelto questa storia e cosa la lega a Firenze.

Nel suo ultimo romanzo, ha raccontato la storia di Monna Lisa non come persona ma come dipinto.

«Una donna che può solo osservare la vita che si svolge attorno a lei, in cui lei non può intervenire. Penso sia questo il motivo per cui ho voluto darle voce. È stata osservata per così tanto tempo, mi sembrava fosse arrivato il momento per lei di rispondere e dire la sua. Non la vedo come passiva, la immagino come attiva e partecipe alla sua storia, influenzando le persone attorno a lei e modificando il corso della storia - sicuramente almeno la storia dell’arte».

Studiare Leonardo e la sua storia l’ha avvicinata alla Toscana? Che relazione ha con il territorio e con Firenze in particolare?

«Sono stata in Toscana e a Firenze molte volte, più di quante possa contare, a cominciare da quando ero una bambina. Alcuni dei miei ricordi più formativi, da ragazza, sono proprio legati alla permanenza in Italia con amici e cugini, le visite agli Uffizi e le gite in giro per l’Italia in treno. Non avevamo soldi e dividevamo un trancio di pizza a pranzo; sembrava non ci fossero mai abbastanza soldi per il cibo ma ci nutrivamo di arte! La bellezza di questo paese mi è entrata nel cuore da allora, quando avevo forse quindici o sedici anni, e non mi ha mai più abbandonato. La vivo come una parte di me. Abito nel Dorset, dove le colline sono dolcemente ondulate e le coltivazioni diventano d’oro in estate, con la luce giusta sembra quasi la Toscana. Quasi. Scrivere di Firenze e di Leonardo da Vinci è stato un autentico piacere».

La sua storia di narratrice è una storia difficile, visto che è dislessica. Chiunque altro avrebbe intrapreso altre carriere. Cosa l’ha spinta a voler ottenere dei risultati proprio lì dove la salita era più dura?

«Penso di aver imparato che niente arriva con facilità. Mi aspetto sempre che ogni cosa sia difficile. Non mi sono mai immaginata che scrivere potesse avvenire senza sforzo. La scuola è stata faticosa e ho dovuto impegnarmi molto più duramente degli altri per superare le mie difficoltà. Ora ci sono abituata. Ho un’etica del lavoro inflessibile, implacabile, che irrita i miei familiari. Non sono sempre brava a rilassarmi».

È diventata particolarmente famosa grazie alla saga familiare "I Goldbaum", un tema che pare avere molto successo ultimamente. Quale pensa sia il motivo?

«In Inghilterra subiamo il fascino delle grandi case e delle famiglie che ci hanno abitato. C’è una lunga tradizione di questo tipo di romanzi - personalmente ho amato "La saga dei Cazalet" di Elizabeth Howard - e diversi capolavori della letteratura inglese del ventesimo e ventunesimo secolo vergono su questo argomento, senza contare i libri della tradizione, da Evelyn Waugh con "Ritorno a Brideshead" a Jane Austen. Ma quando ho scritto "I Goldbaum" ero concentrata sull’idea di outsider: una famiglia ebraica, in una grande casa di campagna. Una famiglia ricca e influente ma considerata comunque estranea dall’establishment per via della sua diversità».

Ha dichiarato che preferisce leggere saggi, ma che è rimasta colpita dalle storie di Boccaccio. Ci può raccontare cosa le piace e quale legame ritrova con quelle storie?

«Mi piacciono i romanzi, ma talvolta, mentre sto scrivendo, leggere romanzi storici rischia di distrarmi, e per fortuna amo i saggi, dal momento che devo leggerne in grande quantità per le mie ricerche. Adoro il Decameron. La descrizione di Firenze che soffre stretta nella morsa della peste è un racconto impressionante della sofferenza umana, non un semplice documento storico. È una narrazione viscerale. Con il covid ovviamente molti scrittori hanno riscoperto Boccaccio: c’è una impressionante corrispondenza dell’esperienza umana. E questo fa parte di ciò che amo di questo scrittore, il fatto che si muova così fluidamente tra tragedia, osservazioni penetranti, grandiose descrizioni naturali e commedia pungente. Vorrei poterlo leggere in italiano, così è come vedere il riflesso di un dipinto in uno specchio... vorrei ammirare direttamente l’originale».

Ho letto che non ama parlare dei suoi vecchi romanzi, perché è come se fossero qualcosa che si è lasciata alle spalle. Se la scrittura è un percorso che evolve, ci sono dei temi che le sono particolarmente cari?

«Non mi dispiace parlarne, ma mi sento leggermente disallineata rispetto ai libri passati, come se fossero stati scritti da una versione diversa di me. E si, sono sempre affascinata dal tema degli outsider. Tutti i miei personaggi in un certo senso lo sono, ribelli che si scontrano con le regole della società, a disagio con le convenzioni e con ciò che ci si aspetta da loro. Nell’epoca dei social media, dove le persone interagiscono con frasi brevi spesso senza conoscersi, il rischio di fraintendimento è molto alto e spesso porta divisione. Devo ammettere che fatico con i social media. Mi ci vogliono quasi centomila parole per esprimere pienamente un’idea, per cui i tweet davvero non fanno per me! Preferisco i podcast, dove c’è tempo e spazio per conversazioni più lunghe, per approfondimento e sfumature. Mi piace ascoltare persone con cui non sono d’accordo, e vedere se nonostante tutto si trova un terreno comune. Se ascoltiamo solo quelli con cui siamo d’accordo è come ascoltare una eco».

C’è qualche scrittore o scrittrice italiano che apprezza?

«Non sono tutti innamorati di Elena Ferrante? E amo Umberto Eco. Poi non avrei potuto scrivere "Io, Monna Lisa" senza autori come Maurizio Zecchini e Giuseppe Pallanti, che oltre ad essere eccellenti studiosi sono scrittori fantastici».

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